La ministra della salute esponente di Area Popolare affossa il provvedimento e si unisce al coro dei colleghi del partito: "No alla fiducia, servivano modifiche e una maggioranza più ampia"
Anche per Beatrice Lorenzin la legge sullo Ius Soli non si può fare, non in questa legislatura almeno. Per la ministra della salute servivano “una maggioranza più ampia e punti di trasformazione” per la legge che riforma la cittadinanza per gli stranieri e che per il momento non è stato calendarizzata al Senato. Si alza così un’altra voce di un esponente di spicco di Area Popolare a ribadire quanto già detto ieri dal ministro degli Esteri Agenlino Alfano e leader del partito interno alla maggioranza secondo cui è “una cosa giusta fatta in un momento sbagliato e può diventare un regalo alla Lega”.
Questa mattina il ministro della Salute durante la trasmissione “Circo Massimo” su Radio Capital ha detto che la norma “sarebbe stata divisiva“, dunque va portata “nella prossima legislatura”. Secondo Lorenzin agli italiani è passata l’idea di “una legge per la quale tutti i cittadini extracomunitari diventavano italiani, una norma così non sarebbe passata”. Invece ci vuole “realismo”, e “il realismo ci dice che non sarebbe passata” e che a pagare il prezzo più alto sarebbero stati “proprio i ragazzi” a cui si rivolge. Il provvedimento, poi, “non doveva essere chiamato Ius soli ma Ius culturae”, ha aggiunto la ministra della Salute.
“Questa norma”, ha detto, “è un disegno di legge, non è un decreto, bisognava fare quello che io ho proposto qualche settimana fa, di seguire la strada seguita per i vaccini, rinunciare alla fiducia“. Aprire così ad un “percorso parlamentare” con “emendamenti”, perché è “una norma di civiltà ma che necessitava di alcune trasformazioni potesse essere approvata da una maggioranza più ampia e compresa dalla popolazione. Ci doveva essere un percorso parlamentare anche per spiegare bene il provvedimento”. Torna il nodo della tempistica, peraltro già espresso nel corso del meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, quando Alfano aveva sottolineato che il momento politico per discuterlo non fosse adeguato.
Quindi, “discorso chiuso. Va portato nella prossima legislatura, perché è una norma che deve agevolare percorso di integrazione“, per la ministra. Il veto è dunque definitivo da parte di Ap e segna un nuovo punto di rottura tra l’Area e il Partito Democratico se si guardano le parole pronunciate ieri sera dal palco della Festa dell’Unità dal ministro dell’interno Marco Minniti: “Dobbiamo fare ogni sforzo per approvare lo Ius soli. – ha detto – Non è materia di maggioranza, è un principio di carattere generale e tecnicamente può prescindere dalla maggioranza di governo”. Ma anche a quelle di Matteo Orfini, presidente del Pd che dalle pagine di Repubblica interviene parlando di fiducia come “unico modo possibile per approvare lo Ius Soli”. Perché la “politica non deve “farsi guidare dalla paura” ma deve essa stessa guidare “l‘opinione pubblica” senza “inseguire i sondaggi”. Impensabile, dunque, non portare a casa un provvedimento non “perché è sbagliato ma perché non conviene”, commenta il dem. Stessa linea del ministro dei trasporti Graziano Delrio che all’indomani dello stop in Senato aveva parlato di “un atto di paura grave”. Fanno da eco le parole del portavoce Pd Matteo Richetti che ieri ha suggerito di insistere, di cercare “una maggioranza parlamentare per un provvedimento in cui crediamo”. Anche se non si vuole “mettere in difficoltà il governo“. Il provvedimento sembra spaccare anche il Pd, che nonostante le molte dichiarazioni non pare mettere in atto una vera e propria manovra di forza per mandare in porto lo Ius Soli. Critica sottolineata oggi dal segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che dal microfono di Rainews24 ha attaccato: “In altre occasioni per altre leggi si è messa la fiducia, in questo caso si è atteso tanto tempo, evidentemente non la si è considerata una priorità”. Proprio dall’area a sinistra del Pd nei giorni scorsi era arrivata un’apertura alla fiducia “di scopo”.
Resta aperta, dunque, la partita sulla legge per la cittadinanza. Il provvedimento, che sembrava essere scomparso dai radar parlamentari quando il 12 settembre era stato accantonato e fatto scomparire dal calendario del Senato per non mettere sotto pressione il governo, è tornato alla ribalta. Nei giorni scorsi si era fatto sentire anche il Vaticano, prima facendo pressing sui centristi di Ap, poi con le parole del presidente della Cei Bassetti per cui “l’accoglienza e l’integrazione dei migranti passano dal riconoscimento della cittadinanza”.