Se c’era mezza speranza, anzi un terzo o un quarto, per un film italiano, di finire nella cinquina per l’Oscar come Miglior Film Straniero, il titolo su cui puntare non era di certo A Ciambra. Non ce ne voglia Jonas Carpignano perché il suo è un lavoro da vedere e consigliare. Ma quella roba lì, quel marasma hollywoodiano degli Oscar, se vogliamo ancora dargli un senso e provare a mettere le mani dentro al piatto come facemmo per La grande bellezza, Mediterraneo e Nuovo Cinema Paradiso, meglio andarci con un concorrente un po’ più robusto e commercialmente esportabile.
Invece eccoci di nuovo al grande dilemma contemporaneo che scorre lungo l’esistenza stessa dell’industria del cinema in Italia. Portare agli Oscar un film che potrebbe tentare, anche se con pochissime chance, di vincerlo, o tirare dritto e mostrare una chicca cinephile? Inutile girarci attorno. Nonostante la pacatezza e il rispetto tra i giurati della commissione, cinque voti contro tre non è l’unanimità, chiesta probabilmente in giuria ma non concessa. E quei tre voti sono per Fortunata di Sergio Castellitto, un signore che fa film poetici e pop, che li riempie di vitalità, energia, brillantezza di spirito e formale, ma che è mal sopportato (e non si capisce bene perché) da parecchia critica e addetti ai lavori. Insomma, il punto di fondo è proprio questo: Fortunata quel quartino di chance se la poteva giocare contro Happy End di Haneke, contro 120 Battements Par Minute di Robin Campillo, Foxtrot di Samuel Maoz. A Ciambra no. È un dato oggettivo che non prevede i miracoli che poi una volta su un milione ovviamente accadono. E premettendo ancora una volta che l’Oscar per il Miglior Film Straniero non è il premio concettualmente art house dell’America raffinata e colta che si scuote e rinnega la banalità della macchina commerciale hollywoodiana, e nemmeno la logica prosecuzione di un giudizio più allargato e meditato di una giuria modello Cannes, Venezia o Berlino, siamo convinti che anche solo la Indigo Film (i produttori de La grande bellezza che hanno vinto un Oscar, qui produttori di Fortunata) avrebbero saputo come mostrare e far circuitare nei prossimi tre mesi nei cinema Usa il film di Castellitto. Poi, ripetiamo, magari Jasmine Trinca e Stefano Accorsi che corrono nel cortile di una questura/ospedale senza uscita non se li fuma nessuno, ma almeno come industria italiana del cinema te la giochi con una certa esperienza professionale, capacità comunicativa, e denaro. Non dimentichiamo infatti che distribuire un film negli Usa, e spingerlo verso gli Oscar, costa parecchio. E nonostante tutto avere dietro una produzione rodata, un box office generoso (due milioni e mezzo di euro per un film uscito ad inizio estate non è poco), e qualche nome celebre nel cast brutta figura non fa.
Invece il cosiddetto endorsement del “nome” hollywoodiano engagé abbiamo già visto che non serve a nulla. Non servirono le lacrime di Meryl Streep e le sue ferme convinzioni di portare Fuocoammare all’Oscar nel 2016. E meno del due di bastoni con briscola a denari vale la produzione esecutiva di Martin Scorsese dietro ad A Ciambra. E lo diciamo a malincuore, ma il grande zio Marty arranca ultimamente per affermare perfino i suoi di film ad una nomination, oltre che proprio a faticare per chiudere una produzione tutta sua. Ancora c’è chi segnala che il film di Carpignano agli industry di Cannes (dove il film era in Concorso nella sezione indipendente de La Quinzaine des realisateurs) è stato acquistato dalla IFC Film/Sundance. Production company che ha nel carnet da circa 20 anni un bel po’ di titoli non statunitensi di livello (vedi anche Il racconto dei racconti di Garrone), ma nemmeno un lontano profumino di Oscar. Chiaro, tutto può succedere al mondo, perfino che la Sambenedettese vinca contro la Juventus, ma mettere in campo la Primavera della Sambenedettese per mostrare che si hanno dei ragazzi di talento, significa voler fare bella figura ma perdere in partenza il match. In fondo a tutto ciò, però, di cuore, un grande in bocca al lupo ad A Ciambra e al suo coraggioso distributore italiano, Academy Two. Arrivare anche solo a raggiungere 50mila euro d’incassi, e stare in piedi nel caos delle sale italiane ad inizio stagione, è già un miracolo per questo piccolo film.