Come è che dicono? Quando hai visto un’Ikea le hai viste tutte. Sono tutte uguali. Stessa architettura, colori, logica di esposizione. Stesso cibo. Immancabile il parcheggio bimbi, una delle ragioni fondamentali per andare all’Ikea nella fine settimana.
Invece no. Non sono tutte uguali. Ce ne sono di grandi e di piccole. Guarda caso otto su dieci delle più grandi sono in Cina. Cambiano perché ogni luogo, nazione ha la specificità dei propri clienti. I clienti Ikea cinesi sono speciali. Loro non ci vanno per comprare, per vedere dal vivo quello che potrebbero acquistare o per verificare ingombri e comodità di un divano o di un letto o di quello che vi pare. Loro – credo, perché questa è la sensazione che ho avuto quando sono andato all’Ikea di Pechino, quella che sta in Futong E St, WangJing, Chaoyang Qu – ci vanno per sognare. Tutti insieme appassionatamente. Famiglie al completo: babbo, mamma, la sempre presente nonna, bimbo o bimba, raramente bimbo e bimba. Coppie di promessi sposi, quando non si sposano direttamente: è successo. Il che forse spiega perché alle pareti del reparto quadri e cornici tutte le foto, ma proprio tutte, sono foto di matrimoni.
Non importa chi si sia e con chi si sia, si sceglie l’ambientazione in esposizione di proprio gradimento e ci si immerge nel sogno che non sia un’esposizione di mobili e complementi di arredo, ma che sia casa propria. Se passa un occidentale curioso che non si fa mai i fatti propri, vede una scena di vita familiare. Una realtà virtuale reale. Imbarazzante. Si ha la sensazione di violare l’intimità altrui.
La nonna si addormenta in poltrona. La mamma utilizza in modo compulsivo-ossessivo il cellulare. Non telefona. Forse manda messaggi, oppure scatta foto, comunque non lo molla un attimo. Il babbo guarda, comodamente stravaccato sul divano, la televisione. Non importa che sia spenta. Lui la sta vedendo. Un sogno è un sogno.
In secondo piano, davanti al lavandino del finto bagno, c’è un’altra signora che, cellulare in mano, non si cura per nulla della tragedia in atto. Se qualcuno pensa che mi sono inventato tutto, prego controllare la foto qui allegata. Inventatevi la vostra di storia nel vederla.
I clienti si portano il pranzo da casa, si siedono a tavola nel reparto tavoli e sedie e buon appetito. Picnic versione Ikea e nessuno del personale che dica di non farlo.
Quando si passa al ristorante self-service ci si sente sollevati. Si torna a esperienza conosciuta. Sono di nuovo tutti normalmente umani. Fanno la fila, più o meno ordinata perché fare la fila non è proprio il loro forte. Prendono il vassoio. Trangugiano polpette nordiche e salmone affumicato che con la Cina non ci azzeccano proprio nulla, per fare poi ancora la fila per pagare all’uscita. Nessuno tira fuori una banconota che sia una. Tutti i pagamenti sono elettronici, il che spiega la perenne presenza del cellulare. La carta di credito è roba che usiamo noi europei primitivi. Non è che sia una prerogativa dell’Ikea. Tutti, ovunque, per tutto. Anche una bottiglietta d’acqua da meno di un euro. Anche la vecchietta adorabile che la mattina mi prepara sul suo carrettino una specie di frittatona ripiena di un po’ di tutto: costo 50 centesimi di euro. Ha il codice QR. Vedere foto allegata. Prendi il cellulare, lo usi come scanner, fai vedere che la transazione è andata a buon fine e il gioco è fatto.
Proprio come da noi… Promesso che ne riparleremo.
Intanto io vado a provare Vimle, divano angolare a tre posti. Svegliatemi alla chiusura.