L’indagine attualmente in corso per lo scandalo delle Abilitazioni nazionali in Diritto tributario, se le accuse saranno confermate, scrive una ulteriore pagina nera sulla corruzione nell’ambito del sistema concorsuale dell’Università Pubblica Italiana. E’ interesse di tutti i cittadini e soprattutto di coloro che dell’Università fanno parte come docenti o come studenti, che l’inchiesta della magistratura accerti la verità e eroghi le sanzioni opportune. Però, poiché scandali sui concorsi ce ne sono sempre stati, nonostante le varie riforme legislative, vale la pena di interrogarsi sul perché il sistema funzioni così male. Esecrare i (presunti) colpevoli è doveroso ma banale e lascia esattamente il tempo che trova; capire le ragioni degli eventi, invece, può tornare utile.
Il punto cruciale che ritengo debba essere considerato è il seguente: la normativa che governa l’Università italiana è bizantina e farraginosa, costruita su premesse ideologiche, inapplicabili alla pratica. Se la si dovesse applicare alla lettera, l’Università pubblica italiana si fermerebbe in breve tempo, ed anche applicandola con tutta la creatività e la spericolatezza nella quale noi italiani siamo maestri, il sistema sta comunque andando a fondo. Quando la sopravvivenza dell’istituzione richiede che le norme di legge vengano stiracchiate il più possibile, la proliferazione degli episodi corruttivi è inevitabile: la legge non è più la guida del retto comportamento dell’individuo, ma il vincolo che deve essere in qualche modo aggirato. Nessun docente onesto è contento di finire in una commissione di concorso, perché il ricorso, con le spese e seccature conseguenti è quasi garantito, anche quando le procedure sono state espletate nel modo più onesto e trasparente possibile. Soltanto per chi ha interessi da difendere la partecipazione alla commissione può risultare gradita.
Il problema cruciale è semplicissimo da spiegare: la legge prescrive alla commissione l’impossibile compito di costruire una graduatoria di merito oggettiva tra i candidati di un concorso. La graduatoria è monodimensionale, e va bene per la classifica dei ciclisti o dei goleador. I ricercatori si misurano su scale multidimensionali: originalità delle pubblicazioni, citazioni, brevetti, riconoscimenti e finanziamenti ottenuti etc. In ogni concorso è possibile redigere varie graduatorie diverse a seconda di quali parametri valutativi si vogliono privilegiare, un concetto che non sfiora il legislatore. Se i commissari sono disonesti, scelgono la graduatoria che favorisce i loro protetti; se invece sono onesti e vogliono far funzionare il sistema scelgono la graduatoria che favorisce il candidato richiesto dalla sede. In nessun caso possono esimersi dallo scegliere di privilegiare alcuni parametri valutativi a discapito di altri, e quindi di redigere una tra le varie graduatorie possibili, piuttosto che un’altra. La sede vuole, in genere, un candidato locale, che garantisca la presenza e che si faccia carico di quei compiti istituzionali non obbligatori che sono necessari alla gestione ordinaria: coordinatori di corsi, direttori di scuole o di dipartimenti, etc. La sede raramente gradisce un candidato che abita in una città distante centinaia di km, arriva in aereo il lunedì mattina, concentra le sue lezioni tra il lunedì e il martedì e torna a casa in aereo il martedì sera. Guai però ad esplicitare considerazioni simili in un verbale di concorso: la legge non ne prevede l’esistenza e i membri della commissione che le mettesse nero su bianco finirebbero in galera. Poiché la graduatoria presenta necessariamente una certa arbitrarietà, tutti gli esclusi hanno buon gioco a presentare ricorsi. Il caso del concorso di Diritto tributario che ha raggiunto l’onore della cronaca è diverso, e più grave, perché si basa su registrazioni di telefonate che rivelano comportamenti criminosi (se saranno ufficialmente accertati); ma nell’opinione di molti non sembrano esserci grandi differenze tra i comportamenti criminosi e quelli legali ma arbitrari.
Il concorso universitario, come tutti sanno, è una pratica italiana: all’estero l’Università ha libertà di scelta maggiore e semmai la valutazione viene fatta a posteriori. E’ probabile che all’estero ci siano altrettante lamentele di candidati esclusi di quante ce ne sono da noi: non essendo prevista la possibilità di ricorso per violazione di norme concorsuali le lamentele non si concretizzano in denunce e non arrivano alla stampa; inoltre all’estero ci sono maggiori finanziamenti pubblici, il che comporta un minor numero di esclusi.