Per la terza volta nell’ultimo anno in Italia viene presentato uno studio epidemiologico sull’impatto degli inquinanti di alcune industrie senza che ne restino tracce importanti nel dibattito politico né sui giornali. È accaduto lo scorso novembre quando la Regione Puglia ha presentato il report sull’Ilva di Taranto, quello che dimostrava come ci fossero – ed è lecito pensare ci siano ancora – aumenti di malattie respiratorie tra i bambini e un incremento fuori scala dei tumori nei quartieri più vicini allo stabilimento siderurgico. Eppure il team guidato dall’epidemiologo Francesco Forastiere indicava senza esitazioni “una connessione diretta tra aumento della mortalità per tumore e per malattie cardiovascolari, respiratorie e i picchi di innalzamento della produzione della fabbrica, anche in epoca molto recente e successiva alle contestazioni” della magistratura.

Il problema è riemerso lo scorso giugno a Brindisi, sull’altra sponda della Puglia, dove insistono un grosso polo petrolchimico gestito da società del gruppo Eni e la centrale a carbone dell’Enel, quella sequestrata – per altre vicende – due giorni fa. Lo stesso team di lavoro, sempre su incarico della Regione Puglia, ha stilato un rapporto preciso: negli scorsi anni c’è stato un “raddoppio delle leucemie” e si è registrato un “60 per cento in più di infarti per emissioni industriali”. Lo studio metteva in luce come la situazione fosse migliorata dal 2012 grazie alla chiusura di un’altra centrale a carbone, quella di Edipower. Così mentre il parroco di uno dei quartieri più colpiti ha rotto il silenzio durante il funerale di un dipendente di una delle aziende sotto accusa (“Dobbiamo parlare di inquinamento che troppi danni fa alla nostra comunità”, ha detto ad agosto don Cosimo Zecca), quel dato scientifico confinato al passato è stato utilizzato come grimaldello da alcuni sindaci della provincia per archiviare la pratica. Una mossa pilatesca.

Adesso è il momento di Viggiano e Grumento Nova, i due comuni lucani più vicini al Centro Oli dell’Eni, dove avviene la prima raffinazione del greggio estratto in Val d’Agri. Dati limpidi, purtroppo, e nessuna reazione politica, nonostante un anno e mezzo fa anche l’Istituto superiore di sanità avesse delineato un quadro a tinte fosche. Dopo oltre una settimana di silenzio, il “più in alto in grado” a parlare è stato il governatore regionale Marcello Pittella. Per dire, sostanzialmente, che forse sì-forse no e quindi meglio che approfondiscano i ministeri dell’Ambiente e della Salute. Dopo quattro-anni-quattro di lavoro da parte di 29 (ven-ti-no-ve) ricercatori italiani.

La questione Taranto era stata frettolosamente archiviata, riguardo a Brindisi e ai paesi lucani, invece, tutto è rimasto confinato alla stampa locale o ai dorsi regionali dei giornali nazionali. Sul sito del Fatto Quotidiano abbia dato ampio spazio in tutti e tre i casi, anche con inchieste e reportage prima che arrivassero i dati a sostanziare gli allarmi lanciati dalle popolazioni.

Chi continua a rimanere cieco – o semplicemente si gira dall’altra parte – quando gli studiosi di epidemiologia soffiano via la propaganda di parte e restano i dati, inoppugnabili, dei danni causati (anche da) quelle emissioni è la politica. Qualche sporadica interrogazione di parlamentari eletti in quei territori, qualche dichiarazione a denti stretti contro le grosse aziende che gestiscono gli impianti e via, tutti pronti a dimenticare.

Un giochino splendido. Così, quando interviene la magistratura, spesso si parla di strumentalizzazioni e di politica trascinata ad hoc nelle inchieste (leggi il caso Guidi). Quando invece si alza forte la voce di studiosi che impiegano anni per mappare quei territori ed escludere i fattori confondenti spesso usati per minare la credibilità dei report – chi ha dimenticato quando i tarantini divennero tabagisti e alcolisti di massa? – ai nostri prodi non resta che tergiversare o il silenzio. Lo stesso nel quale decine e decine di persone continuano ad ammalarsi e morire in quelle città abbandonate a loro stesse, nonostante le evidenze scientifiche suggeriscano che è arrivato il momento di iniziare a muoversi. Non sono più le nubi nere dell’inquinamento ad avanzare. È la politica a rimanere immobile.

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