Ci siamo, ecco profilarsi all’orizzonte la nuova battaglia dei diritti da cavalcare per chi pratica – in modo trasversale, nessuno escluso – la politica del lancio di agenzia quotidiano e la corsa alla comparsata televisiva. Dopo le storiche (epiche le ha definite Michele Serra ne L’Amaca) per il divorzio e l’aborto legale oggi si profila la questione “gender“ o meglio “no-gender“. Negli ultimi 40 anni la politica italiana ha dimostrato quando sia meglio non impelagarsi, evitando di prendere una posizione chiara e soprattutto legiferando ad esempio sul fine vita; dando il peggio di se stessa scagliandosi contro Beppino Englaro, il padre reo di aver voluto e preteso che venissero rispettate le volontà della figlia.
Nonostante i proclami in Italia non sussiste nessuna legge certa su questo tema e i registri dei testamenti biologici: sono lasciati alla libera inventiva di sindaci. Sulle unioni civili, la mia opinione personale (ma anche di molte persone della comunità Lgbt con cui mi sono confrontata) è che siano arrivate in porto semplicemente perché le comunità gay e lesbiche sono potenzialmente un ampio bacino di voti.
Ma ora vengo alla “novità” dei temi gender: il “bus della Libertà” – il pullman anti-gender – che ha girato l’Italia per la campagna contro “la colonizzazione dell’ideologia gender nelle scuole”. Come se il sentirsi femmina o maschio dovesse e potesse essere un’imposizione di legge. Come se la volontà di chi crede nella famiglia e in una sessualità personale “tradizionale” potesse essere scalfita da chi vive una realtà diversa dalla sua.
Mi sono avvicinata a questo argomento con la curiosità laica di chi vuole capire qualcosa che, pur lontano dalla propria realtà, ritengo abbia uguale diritto di cittadinanza in quanto riguarda e coinvolge molte persone. Perché penso che si possa essere contrari o favorevoli a qualsiasi cosa ma che sia altrettanto legittimo ritenere che uno Stato di diritto sia tale perché in grado di occuparsi di realtà che esistono. Insomma, una linea di principio oltre che di civiltà.
L’ho capito intervistando Camilla, la mamma che con grande coraggio e tenacia (nonostante le minacce e le intimidazioni più o meno dichiarate) ha deciso di aprire il blog “Mio figlio in rosa”. In particolare suggerisco la parte che riguarda le gravi crisi che devono affrontare i ragazzi in età adolescenziale e che a volte possono addirittura sfociare nel suicidio. Camilla insieme ad altre famiglie sta tentando di mettere in piedi qualcosa di utile non solo per i propri figli. Sabato a Firenze si terrà una conferenza dal titolo “Bambini in rosa” e i cui presupposti partono dal fatto che esista una differenza tra il genere anagrafico stabilito in base agli organi genitali visibili alla nascita di un bambino e un genere psichico che dipende da ciò che sentiamo di essere.
“Non sono io a sostenere che può capitare che i due generi non corrispondano – precisa Camilla – Lo dice la psicologia, la sociologia, l’antropologia, la medicina e il buon senso”. Poi snocciola alcune domande a cui qualcuno potrebbe tentare di dare delle risposte: chi sta davvero strumentalizzando i nostri bambini a scopo politico? (Un altrettanto ampio bacino di potenziali consensi elettorali, aggiungo io). Quante persone hanno mai letto cosa dice il Consiglio d’Europa riguardo all’identità di genere?
La risoluzione 2048 nel dibattito avvenuto il 22 aprile dell’anno 2015 (15esima seduta) stabilisce che tutti gli Stati membri:
– Adottino misure e leggi contro la discriminazione e l’odio che includano anche la popolazione trans;
– Adottino procedure legali rapide e trasparenti basate sulla autodeterminazione riguardo al riconoscimento dell’identità di genere senza ulteriori limitazioni come per esempio l’età;
– Aboliscano la sterilizzazione forzata e altre procedure mediche come le diagnosi psichiatriche o l’obbligo al divorzio dopo il cambio di sesso;
– Si assicurino che, nel caso si tratti di bambini, sia sempre messo al primo posto il loro benessere;
– Prendano in considerazione di includere un terzo genere nei documenti di identità laddove ne sia fatta richiesta;
– Facciano sì che l’assistenza sanitaria specifica sia accessibile e assicurata a tutte le persone trans inclusi i bambini, accertandosi che nessuno venga etichettato come malato di mente in alcuna classificazione nazionale o internazionale;
– Siano attivi nel fare informazione, sensibilizzare e formare la popolazione e soprattutto i professionisti.