I titoli come “Bastardi islamici” o “La malaria degli immigrati” o le frasi sessiste nei confronti di una donna delle istituzioni sono da contemplare nel libero esercizio del pensiero?
“No!”, rispondono tassativamente le centinaia di persone, gran parte dei quali giornalisti, che hanno partecipato all’assemblea nazionale di Articolo21 ad Assisi, insieme alla rivista San Francesco. La discriminazione razziale e di genere è una manifestazione di inciviltà e non ha nulla a che vedere con l’articolo 21 della Costituzione. “Le parole sono pietre, usiamole per costruire punti” recita uno dei principi della carta di Assisi. Perché se male utilizzate, le parole possono ferire e uccidere. Da qui l’invito a cancellare dai propri blog, siti e social network messaggi di morte, a denunciare gli squadristi da tastiera, abbattendo così i muri di ignoranza.
Ogni giorno interagiamo per ore sui social. Leggiamo, scriviamo, commentiamo e condividiamo. Ci affrettiamo in una corsa spesso dissennata per non arrivare secondi trascurando il peso e le conseguenze dei nostri post e dei nostri tweet.
Chi scrive, oggi più che mai, giornalisti e non, ha una doppia responsabilità. Raccontare i fatti sviluppando le abilità del pensiero critico ed evitare di alimentare paure e odio.