“Devono cambiare radicalmente, o si autoriformano oppure quando saremo al governo lo faremo noi”. Il messaggio lanciato dal neo-candidato premier ai sindacati durante il Festival del Lavoro di Torino è pesante. Non solo: vagamente ricorda la critica agli stessi sindacati dell’ex premier Renzi, così come accuse che al mondo sindacale sono sempre arrivate da ambienti liberali o di destra. Ma c’è una differenza radicale, specie rispetto a Renzi, espressione di un partito, il Pd, che ha sempre rappresentato il mondo del lavoro dipendente, mentre si è dimostrato totalmente incapace di difendere il lavoro che arrivava, quello intermittente, precario, autonomo. Di Maio invece è portavoce di un movimento che ha più le carte in regola da questo punto di vista, perché ha costruito la sua forza elettorale proprio cercando di intercettare un voto che va dai piccoli imprenditori e artigiani alle partite Iva della conoscenza, i precari delle università, della scuola, i freelance occupati in settori intellettuali e creativi. Tutti accomunati esattamente dalla mancanza di tutele di sorta e al tempo stesso – le cose vanno di pari passo – di una rappresentanza sindacale forte e chiara.

Il tema è noto e se ne parla da qualche anno ormai. Ma i sindacati, che oggi alzano la testa e gridano all’autoritarismo contro l’uscita di Di Maio – dalla Cgil alla Cisl alla Uil – farebbero comunque bene, oltre che a difendersi, certo, a spiegare meglio ai cittadini italiani cosa concretamente stanno facendo per stare vicino a quei lavoratori che si apprestano a diventare la maggioranza. È vero che da tempo sono nate nuove iniziative, osservatori sul lavoro autonomo, convegni sui precari etc. È vero che la Cgil ha fatto in passato campagne contro il lavoro giovanile sfruttato. Ma tutto questo non basta. Perché quei lavoratori non sono stati raggiunti e continuano a vivere in condizioni sempre più vicine alla povertà.

Certo, non è facile intercettarli. Sono frammentati, divisi, isolati. I loro committenti fanno leva proprio su questa frammentazionedivide et impera – per estorcere condizioni di lavoro sempre peggiori, di fronte alle quali questi precari, queste partite Iva o lavoratori intermittenti che pagano tasse ma non ricevono niente in cambio dallo Stato, devono forzatamente adeguarsi. Non intervenendo nessuno, appunto, a difenderli. Anche loro, è vero, non sono esenti da colpe: potrebbero alzare la testa e farsi sentire, potrebbero comunque provare ad andare ai sindacati. A volte non conoscono neanche quei pochi diritti che hanno. Ma provate voi a trovare il tempo di protestare e magari agire per unire i colleghi quando si deve lavorare notte e giorno per mettere insieme uno stipendio che non arriva puntuale a fine mese. E provate a misurare la differenza con chi entra in azienda dove i rappresentanti sindacali sono noti ed eletti e ti difendono automaticamente, grazie alla contrattazione collettiva. E dove inoltre, per fare il loro lavoro, hanno diritto a permessi, in modo da tranquillamente agire senza la fatica che farebbe un libero professionista. Che comunque, appunto, deve continuare a sgobbare mentre al tempo stesso protesta.

E poi ci sono gli scandali. È vero, accusare, come ha fatto Di Maio, i sindacalisti dalla pensione d’oro può apparire demagogico. Ma non sono falsità. Sono tantissimi i sindacalisti, non parlo di gente veramente valida come Maurizio Landini, che hanno goduto e godono di privilegi inimmaginabili e che se ne sono andati con pensioni d’oro. Ricordo il caso scandaloso di Raffaele Bonanni, che si alzò lo stipendio per avere poi un assegno altissimo. Non mi pare che ci furono levate di scudi collettive da parte dei sindacati. Almeno non tante da impedirgli di dare questa miserabile operazione, sostenibile solo grazie a versamenti di decine decine di precari. Ricordo che provai per quell’episodio un tale schifo che mi allontanò ancor più dai sindacati. Ma credo di non essere stata l’unica perché gesti come questi scandalizzano le persone, specie in un epoca di scarsità di risorse  di fame di lavoro e di pensioni vere.

Concludendo: che Di Maio abbia deciso di attaccare il sindacato fa parte certamente di una strategia mediatica che può essere senza dubbio criticata. Ma, ripeto, è un’uscita comunque coerente con le posizioni del suo Movimento e con il tentativo dei 5 Stelle di rappresentare categorie un tempo fatte proprie in parte dalla destra (che comunque nulla faceva per loro, ma gli consentiva una deregulation totale, lasciandoli evadere) e che oggi sono in sofferenza estrema, visto che anche i liberi professionisti non guadagnano più nulla, e così i piccoli imprenditori, a cui si sono aggiunti i precari della conoscenza. Alle parole, però, seguano i fatti: se i 5 Stelle andranno al potere, dovranno mettere tutta la loro attenzione sul lavoro giovanile e autonomo (difendendo anche i quarantenni e cinquantenni) e farne una bandiera vera e propria. Non sarà un compito facile, perché i soldi sono pochi e la platea di persone che hanno bisogno di tutele amplissima. Il tema è lungo e lo spazio è finito. Comunque, di sicuro, bisognerà anzitutto lavorare sul reddito di cittadinanza (vero, non mance contro la povertà come quelle stabilite da questo governo). E poi, soprattutto, su una riforma pensionistica che stabilisca un minimo garantito, visto che oggi un libero professionista può andare in pensione, dopo 30 o 40 di contributi, con 200 euro, meno della metà della pensione sociale. Uno scandalo enorme, a cui chi sta al governo dovrà mettere mano, pena il collasso dell’intero sistema paese.

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