Le uccisioni in Israele di ebrei e arabi, per mano di accoltellatori, bombaroli, sparatori, guidatori di automobile, operatori di caterpillar e così via, non possono che fare notizia, anche perché chi commette queste “azioni” riceve delle laute pensioni da parte dell’Autorità palestinese, con le conseguenze che ne derivano.

Viceversa, non fa notizia – e lo si capisce – l’esistenza di tantissime associazioni di israeliani e palestinesi che mirano a raggiungere la pace attraverso un’intesa anche personale fra i due popoli.

Vi sono, ad esempio, la Camera di commercio israelo-palestinese, i parchi industriali congiunti, l’iniziativa della Valle della Pace. E vi è l’Intesa israelo-palestinese per l’acqua del luglio 2017, per la costruzione di condotte di 220 km che portino l’acqua del Mar Rosso nel Mar Morto, che dovrebbe anche produrre energia elettrica strumentale alla desalinizzazione. Si tratta, per lo più, di intese fra governo israeliano e autorità palestinese.

L’elenco di iniziative umanitarie, economiche, di riconciliazione, culturali e così via, è assai lungo, e sarebbe da domandarsi perché, anziché parteggiare per l’uno o l’altro popolo, demonizzandoli, non si agisce per diffondere l’empatia fra ebrei e arabi palestinesi e per dare impulso all’economia anziché all’elemosina internazionale.

Non è un compito difficile, visto che gli arabi palestinesi rappresentano il 20 per cento della popolazione di Israele. A lungo si potrebbe parlare del perché, invece, non vi siano quasi più ebrei nei paesi a maggioranza musulmana, circostanza verificabile anche in Italia, ove abitano tantissimi ebrei espulsi dagli Stati arabi.

Poiché la pace fra Israele e l’Autorità nazionale palestinese, dopo la pace raggiunta con Egitto e Giordania, sarebbe nell’interesse del mondo intero, sarebbe opportuno che anziché attizzare l’odio, come se l’esperienza non servisse proprio a nulla, ci si impegnasse nelle iniziative che conducano alla pace.

Se fosse un compito impossibile, non si spiegherebbe come mai gli arabi israeliani, malgrado il decennale conflitto, siano cittadini israeliani a tutti gli effetti e raggiungano le posizioni più elevate possibili in Israele (anche nella Corte Suprema). Tant’è che un soldato israeliano ha di recente stigmatizzato ogni appoggio alle destre estreme europee, ricordando come tanti dei suoi ufficiali nelle Forze di difesa di Israele (Idf) fossero arabi musulmani e riportando quella che è la verificabile realtà, nel senso che migliaia di palestinesi lavorano ogni giorno in Israele, frequentano le università, vengono curati negli ospedali e curano i malati ebrei in veste di medici e infermieri.

Poiché la Carta palestinese stabilisce, all’articolo 1, che la Palestina è araba, è impossibile negare il diritto di Israele a essere uno Stato ebraico. Sulla base del principio della reciprocità, poi, i due popoli potrebbero raggiungere la pace se dall’estero si appoggiassero gli impegni congiunti israelo-palestinesi per il raggiungimento di un’intesa obiettivamente soddisfacente per le due parti. Promuovere non l’odio, ma la pace, forse non porterà a certe organizzazioni lo stesso ammontare di donazioni che portano i progetti che demonizzano una delle due parti (per la maggior parte Israele), e forse vi sarebbe una minore adrenalina nel sostenere le intese e la cooperazione anziché le battaglie cruente. Tuttavia, è ora che l’Occidente faccia i conti con le sue pesanti responsabilità nel conflitto israelo-palestinese, laddove si fa malamente coinvolgere nelle battaglie ideologiche, diventandone complice, anziché provare a far librare in aria una colomba della pace che non aspetta altro che compiere la sua benemerita opera.

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