Emanuele Scieri “non fu cercato”. E aveva ferite sulle mani, gli scarponi slacciati. Ci furono omissioni nei controlli e nel rapporto di quella sera. C’è chi, anche nelle alte sfere dei parà, sarebbe colpevole di “omertà” per aver sempre parlato di incidente, magari dovuto a un esercizio di “trazioni alla sbarra”, come ha suggerito l’ex generale della Folgore, Enrico Celentano. Sono solo alcuni dei punti mai chiariti nella morte dell’avvocato siciliano, deceduto a 26 anni il 13 agosto del 1999 durante la leva militare, su cui la procura di Pisa ha riaperto le indagini per omicidio colposo. Emanuele Scieri era al suo primo giorno da aspirante paracadutista nella caserma toscana. Caduto di notte dalla torre dove si asciugano i paracadute, il giovane siracusano precipitò per circa dodici metri, prima di toccare terra e spezzarsi la colonna vertebrale. Rimase lì in agonia tra le sei e le otto ore, secondo i periti della famiglia, prima di morire. Il corpo, ormai gonfio e in putrefazione, fu rinvenuto solo dopo tre giorni.
Nessuna delle quattro indagini condotte in passato – una interna, una del Tribunale Militare di La Spezia e due della Procura di Pisa – ha mai portato a un processo sulla morte di Emanuele Scieri. Ma la famiglia della recluta non ha mai creduto alla tesi dell’incidente. E nemmeno la Procura di Pisa, che ora, dopo 18 anni, torna ad aprire un fascicolo per omicidio colposo. Merito dei nuovi indizi trovati dalla Commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Sofia Amoddio (Pd), che ha lavorato incessantemente nell’ultimo anno. “Quello della commissione sul caso è un lavoro serio e approfondito che certamente è meritevole di essere ripreso”, ha riconosciuto il procuratore capo di Pisa, Alessandro Crini. A lui, adesso, il compito di far luce sui molti punti oscuri della vicenda Scieri.
La notte in cui Emanuele morì
Quella sera Emanuele era rientrato in caserma dalla libera uscita insieme a un commilitone, Stefano Viberti, che sarà l’ultimo a vederlo vivo, e che sarà trasferito di reparto poco dopo la morte dell’amico. Insieme, dopo cena, avevano visitato Piazza dei Miracoli e, con gli occhi sulla Torre Pendente, Emanuele aveva telefonato in Sicilia, a casa, per salutare la mamma, il papà e il fratello maggiore. Poi il rientro in caserma, una sigaretta fumata insieme sul vialetto interno, due chiacchiere e il saluto: Emanuele doveva fare una telefonata. Lui e Stefano si sarebbero dovuti rivedere di lì a poco, al contrappello delle 23:45. Ma a quell’appuntamento Scieri non si presenterà mai. Non solo: non ha fatto nessuna telefonata quella notte. Più di una recluta, al contrappello, riferì che Emanuele era rientrato, eppure queste segnalazioni non furono appuntate nel rapporto serale, che riportava invece “mancato rientro”. “Hanno sbagliato. Avrebbe dovuto scriverlo”, riconosce oggi l’allora generale della Folgore, Enrico Celentano, ascoltato in Commissione d’inchiesta parlamentare. E ammette: “Sarebbe stato vitale andare a cercare Emanuele Scieri”.
“E’ stato picchiato. E ci sono responsabilità per omissione di ricerca”
Quando, tre giorni dopo, fu trovato, Emanuele era ormai morto, steso in mezzo ad armadietti rotti e tavoli da smaltire, circondati da una rete verde coprente, ai piedi della torre. Le scarpe inspiegabilmente slacciate, le mani segnate da quella che, ha riconosciuto la Procura Militare di La Spezia, poteva essere la pressione di alcuni scarponi. Nessuno, nel silenzio della notte, lo aveva sentito urlare durante la caduta. Le ronde, che passavano a pochi metri da lì ogni sera, non avevano sentito l’odore forte del suo corpo in putrefazione, nel caldo di agosto, un odore descritto come insopportabile al ritrovamento, come testimoniato da molti dei 70 parà ascoltati in Commissione parlamentare. Scieri poteva essere salvato. Ma nessuno, in quella caserma, lo cercò.
“Sicuramente ci sono responsabilità nel fatto che Emanuele non sia stato ricercato, poteva essere salvato. E non parliamo di incidente. Era stato picchiato. L’ultima audizione pubblica, con esperti della Polizia, che hanno studiato per mesi le fotografie, dimostra che Emanuele aveva ferite che si era provocato prima della caduta, aveva segni di ghiaietto e di vernice sotto i jeans. E anche la ferita nel piede non è compatibile con la caduta” rivela a ilfattoquotidiano.it Stefania Prestigiacomo (Fi), vice presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta.
I punti oscuri e l’audizione del Generale Celentano
“Trazioni alla sbarra”. Per l’ex generale Celentano, quella notte, prima del contrappello, Emanuele Scieri voleva fare una prova di forza con se stesso e, “per issarsi”, scelse i gradini della scala della torre. “Qualcosa forse è andato male, è scivolato e non ce l’ha fatta” spiega alla commissione. Celentano ha anche una seconda ipotesi, alla quale però crede meno: “Potrebbe aver incontrato uno, due, tre spiritosi, che quelli purtroppo ci son sempre dappertutto, e gli abbiano detto di fare quello che io ritengo abbia fatto spontaneamente: ‘Arrampicati un poco lì, facci vedere se sei in gamba’. Tutto il resto è pura fantasia. Lui obbedendo a questi anziani può darsi che sia scivolato spontaneamente”.
Cosa ci faceva in cima alla torre di notte, perché le scarpe erano slacciate, perché aveva quei segni sulle mani, perché non fu cercato: questi sono solo alcuni dei punti mai chiariti finora. Così come è insolita la visita a sorpresa, prima e unica nella sua carriera di generale della Folgore, che Enrico Celentano fece alle 5:30 nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1999 alla Caserma dei parà di Pisa. Una visita aggiunta a penna nel verbale delle ispezioni della caserma, battuto a macchina.
Ma, tra le domande senza risposta, una pesa più di tutte: chi e perché, alle 23:45, nella notte in cui Scieri è morto, ha telefonato dalla caserma di Pisa alla casa dell’allora generale Celentano, a Livorno, usando il cellulare dello stesso generale? “Non me lo ricordo”, afferma in commissione Celentano, oggi in pensione da Capo di Stato Maggiore, carica affidatagli tre mesi dopo la morte di Scieri. Celentano sostiene, contro ogni tabulato, che il cellulare lo avesse con sé, a Livorno. “Non è stato lei a fare la telefonata?” lo incalzano i parlamentari al secondo piano di Palazzo Macuto. Il generale resta in silenzio. Poi sbotta. “Io non nascondo nulla! Non è nel mio stile! Io ho detto quello che so, che ho visto e che ho fatto, non nascondo nulla”. Salvo poi riconoscere: “Siamo a 17 anni e non è venuto fuori niente”. “Come la chiama lei questa?” gli chiede un commissario. “Omertà”, risponde Celentano. Che però torna a ripetere i suoi “non ricordo”, in una testimonianza che, i parlamentari, non si vergognano a definire, davanti a lui, “apologia dell’omertà”. “Non sono siciliano e quindi non sono omertoso”, replica l’ex militare.
Ancora i pregiudizi razzisti che lo hanno reso tristemente famoso quando, all’indomani della morte di Scieri, fu pubblicato lo Zibaldone, una raccolta di vignette, motti, e articoli sulla Folgore, distribuiti dallo stesso generale agli alti ranghi dei parà. Dentro c’era pure una preghiera in rima, rivolta a Dio, perché facesse fuori tutti i “terroni”.
Durante la sua audizione in Commissione, Celentano fa altre rivelazioni sconvolgenti. Alla domanda se sapesse se nella caserma di Pisa circolasse droga: “Non lo sapevo ma non mi meraviglia più di tanto perché la droga la fa da padrona, oggi come allora”. E risponde alle domande sul nonnismo, un fenomeno “nel dna della Folgore”, come aveva detto lui stesso nell’interrogatorio del 23 agosto 1999. Descrive alcuni riti in voga, come “bere l’urina”, altri, secondo lui, rimasti agli anni Sessanta, come far ingollare agli allievi di notte “escrementi umani” fatti “maturare”. “Erano atti che si verificano spesso dovuti all’arroganza, alla sciocchezza, avvenivano all’ordine del giorno”, rivela il generale in pensione. Che, dopo la morte di Emanuele Scieri, era pronto a lasciare per sempre l’esercito. “Non mi è piaciuto quello che era successo”, spiega in Commissione. Ma Celentano non lascerà mai il mondo militare. Il 6 novembre, a meno di tre mesi dal fatto, saluterà i parà dopo due anni da generale, sì, ma per diventare appunto Capo di Stato Maggiore.