Ogni referendum ha i suoi rituali: urne, schede elettorali, liste vidimate, un presidio di polizia all’ingresso dei locali pubblici adibiti a seggio, il silenzio elettorale nelle 24 ore precedenti il voto, un comitato del “Sì” e un comitato del “No”. Si è visto poco di questo nella consultazione catalana.
Nelle ultime settimane le forze dell’ordine sono state impegnate a sequestrare materiale elettorale, la Generalitat – il governo regionale, oramai un’istituzione non più autonoma ma parallela rispetto agli organi centrali di Madrid – ha fatto ricorso a una riserva di improbabili urne cinesi «low cost» per garantire il voto, la polizia ha organizzato presidi nelle strade di accesso ai seggi per evitare la consegna del materiale agli scrutatori. Nella giornata di sabato le piazze di Barcellona ribollivano di passione, divise tra indipendentisti e unionisti, altro che silenzio elettorale.
Non si è mai insediato un comitato per il “No”. È stata una consultazione a senso unico, preceduta da una campagna monopolizzata da un solo segno, quello del “Sì”. Manifesti, striscioni, bandiere, soldi pubblici catalani, cambiamenti di programmazioni nelle scuole con i consigli d’istituto che, per lasciare aperti i seggi, hanno simulato attività nel fine settimana per alunni e genitori.
Una corsa podistica con un solo corridore è una gara senza storia.
Eppure, nelle intenzioni degli indipendentisti, ne bastava anche uno soltanto, del resto la stessa legge per il referendum approvata negli ultimi giorni dai partiti separatisti, la destra liberista di Convergència, la sinistra di Esquerra Republicana e gli anticapitalisti radicali della Cup, non prevedeva quorum. Ieri, a soli 45 minuti dall’apertura delle urne, la Generalitat ha introdotto nuove norme, consentendo il voto in qualsiasi seggio utile e utilizzando schede “fai-da-te”; in quelle stesse ore è diventato virale un post che con ironia descriveva la tensione nell’aria: “A Barcellona è più rischioso comprare un toner che un grammo di cocaina”, recitava.
La cronaca sul referendum è il racconto di una consultazione cucita «su misura», l’esatto contrario di quanto avvenuto nel 2014 in Scozia dove il voto per l’indipendenza fu preceduto da una lunga negoziazione con Londra che portò due anni prima all’accordo di Edimburgo, patto nel quale si fissavano tutte le regole elettorali.
Di certo osservatori internazionali dell’Osce avrebbero avuto un gran da fare ma non se ne sono visti perché la consultazione è stata ritenuta illegale dagli organi centrali di Madrid e, di fatto, non riconosciuta dalla comunità internazionale.
È come se la democrazia fosse stata sospesa, come se la Catalogna, regione rigorosa e progredita, si fosse deliberatamente staccata dall’Occidente per assistere alla rappresentazione di una farsa. Così mentre un corpo dello Stato, la Guardia civil, irrompeva in alcuni seggi per bloccare le operazioni, la polizia regionale (Mossos d’Esquadra) presidiava passivamente strade vuote, ben sapendo che le urne sarebbero state introdotte da ingressi secondari. Intanto gli inquirenti annunciano di avere pronti avvisi di garanzia contro i Mossos per disobbedienza agli ordini del Tribunale Superiore di Catalogna e il sindacato della Guardia civil, quasi a voler completare il corto circuito istituzionale, dirama in una nota l’intenzione di costituirsi parte civile nei processi contro la polizia regionale.
Mentre il cielo plumbeo di Barcellona era squarciato dalle pale degli elicotteri della polizia, gli unici autorizzati a volare in uno spazio aereo limitato, il sindaco Ada Colau attaccava la codardia del governo di Mariano Rajoy, trinceratosi dietro la pressione delle forze dell’ordine, “Barcelona ciutat de pau, no té por (è città di pace, non ha paura)”, scriveva sui social.
Un presidente de gobierno cobarde ha inundado de policía nuestra ciudad. Barcelona ciutat de pau, no té por #MésDemocracia @marianorajoy
— Ada Colau (@AdaColau) 1 ottobre 2017
La sensazione è che stiano perdendo tutti. Gli indipendentisti coi loro slogan a caratteri cubitali “Adéu Regne d’Espanya – Hola Unio Europea” (addio Regno di Spagna, ciao Unione europea), sapendo di essere sul punto di rompere i ponti con la Spagna e quindi con l’Europa. Ma anche il premier conservatore e il suo governo apparsi del tutto inadeguati, privi di visione, preferendo al dialogo politico le carte bollate dei tribunali e le risposte della polizia. Con azioni repressive troppo vigorose, secondo molte fonti sarebbero stati usati proiettili di gomma, proibiti nelle dotazioni agli agenti antisommossa sul suolo catalano dal 2014, quando nel corso di uno sciopero generale una donna ne fu colpita ad un occhio.
Una società lacerata, balcanizzata, nella quale tutti denunciano il fascismo degli altri, tanto che uno dei pochi paesi europei senza formazioni di estrema destra o xenofobe è caduto nella spirale dell’odio “etnico” e della delegittimazione reciproca.
Sulle gradinate del Camp Nou da diverse domeniche campeggia un grande striscione WE WANT TO VOTE, il Barcellona calcio ieri ha giocato a porte chiuse per il clima di tensione in città, la squadra avversaria, Las Palmas, in un comunicato si diceva pronta a scendere in campo con una maglietta speciale, con la bandiera spagnola stampata sul petto, iniziativa subito avallata dalla Federazione calcistica.
In una domenica grigia e grottesca, il sindaco di Port Bou, cittadina di frontiera con la Francia, ha dovuto cambiare la serratura del locale individuato come seggio per impedire la consultazione illegale, notizia che richiama alla mente le lunghe soste alla stazione della cittadina quando, negli anni 90, viaggiare ‘low cost’ significava comprare biglietti interrail. Una Catalogna indipendente uscirebbe da Schengen e Port Bou tornerebbe ad essere snodo di frontiera negli spostamenti ferroviari.
In tarda serata arrivano finalmente gli ultimi dati, il 42,3% degli aventi diritto (in Scozia votò l’84%) si è espresso in elezioni prive di qualsiasi garanzia, quanto basta per proclamarsi indipendenti.
La sfida è lunga, la chiusura delle urne segna l’inizio di una nuova instabilità, Rajoy proverà ora ad applicare l’articolo 155 della Costituzione con sospensione dei poteri regionali, le opposizioni chiederanno la sua testa, gli indipendentisti urleranno più forte al neo fascismo centralista.
Due mondi che potrebbero ancora coesistere solo se tornassero a parlarsi. Occorrono statisti. E all’orizzonte non se ne vedono molti.