La riforma prevede che le emittenti private trasmettano almeno un film o una fiction italiane a settimana per ogni canale tv, mentre per la Rai si tratta di 2 a settimana. Aumentano gli investimenti obbligatori in nuove produzioni italiane e comunitarie. La bozza della normativa aveva suscitato le critiche dei broadcaster
Più cinema italiano in prima serata e più investimenti da parte delle emittenti in produzioni europee e italiane. È questo l’obiettivo del decreto legislativo voluto dal ministro della Cultura Dario Franceschini, approvato oggi dopo diverse polemiche dal Consiglio dei ministri.
La nuova normativa si muove su due binari: palinsesto e investimenti. La riforma obbliga le televisioni nazionali ad aumentare la quota di produzioni made in Italy messe in onda nella fascia di prima serata, cioè quella con maggior audience, compresa tra le ore 21 e le 23. Per le emittenti private si tratta di almeno un film o una fiction italiane a settimana per ogni canale tv, mentre per la Rai si tratta di due ogni sette giorni. Aumentano in modo consistente, poi, gli investimenti obbligatori in produzioni italiane e comunitarie: la nuova legge prevede che questi passino gradualmente dal 10 al 15% per le televisioni private e dal 15 al 20% per la Rai. L’entrata a regime è fissata al 2020. Aumenta leggermente e gradualmente anche la quote minima di ricavi annui riservata alle opere cinematografiche italiane, che passerà dal dal 3,2 al 4,5% per le private e dal 3,6 al 5% per viale Mazzini.
Dovranno attenersi a queste cifre anche Netflix e Amazon, recependo in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. La Commissione Ue, infatti, vorrebbe che queste piattaforme carichino una quota fissa minima di produzioni comunitarie all’interno della loro offerta e che si adeguino alle televisioni tradizionali attive negli Stati membri nell’investire parte dei loro ricavi nella produzione di contenuti originali.
Le quote di programmazione e investimento contenute nella riforma sono ridotte rispetto alla prima stesura della riforma, ma le polemiche sollevate dalle emittenti rimangono. I broadcaster – Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney e De Agostini – hanno scritto una lettera molto critica al ministro della Cultura. “Il provvedimento, estremamente rilevante per gli effetti che avrà all’interno del comparto audiovisivo sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale, risulta costituire di fatto una nuova imposizione insostenibile a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali”, denunciano le emittenti, definendo la riforma “peggiorativa”. Particolarmente indigeste sono le sanzioni che la nuova legge prevede, “spropositate” secondo le televisioni. Le multe per chi non rispetta i vincoli, infatti, andranno da 100mila a 5 milioni di euro, o fino al 3% del fatturato quando il valore di questa percentuale è superiore ai 5 milioni.
Nonostante le polemiche, Franceschini aveva detto che “non si sarebbe fermato” perché “le riforme comportano sempre proteste”. Oggi, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri, ha ribadito che si tratta di “norme che valorizzano la creatività e il cinema italiano”. Al suo fianco, e al fianco del decreto, si sono schierati i produttori indipendenti dell’Anica ( secondo i quali “alcuni aspetti avrebbero potuto essere migliori, alcuni compromessi erano necessari, ma il segno di queste norme appare oggi positivo”), ma anche l’associazione 100autori: “Più risorse significano più concorrenza, creano più qualità nei film, nelle serie tv, nei documentari e nelle opere d’animazione”, ha detto il portavoce Andrea Purgatori. Altri sostenitori della riforma sono poi il premio Oscar Gabriele Salvatores e il regista Daniele Luchetti.