Confermate in Cassazione le condanne per i vertici di Green Hill, l’allevamento di cani beagle destinati alla sperimentazione scientifica chiuso a Montichiari, nel bresciano, nell’estate del 2012. La Suprema Corte ha ribadito le pene di un anno e sei mesi per Ghislane Rondot, co-gestore della struttura, e per il veterinario Renzo Graziosi, mentre il direttore dell’allevamento, Roberto Bravi, è stato condannato ad un anno in via definitiva. È ancora in corso il processo parallelo ad altri veterinari e dipendenti impiegati nella struttura.
Le accuse erano di maltrattamento e uccisione di animali, ipotesi accolte dai giudici. Nell’allevamento – che ospitava fino a 2500 cani adulti, oltre alle varie cucciolate, in ambienti chiusi e non adatti – secondo le accuse si praticava “l’eutanasia in modo disinvolto, preferendo sopprimere i cani piuttosto che curarli”. Tra il 2008 e il 2012 sarebbero morti 6.023 beagle nell’allevamento. Le motivazioni della condanna in appello, emessa il 23 febbraio 2016, riferiscono che i cani, anche quelli ammalati, venivano abbandonati a loro stessi durante la notte. La politica aziendale, infatti, andava “in senso diametralmente opposto alle norme comunitarie e nazionali”, come spiega l’accusa, ed era quella di non curare gli animali per cui non ne valeva la pena farlo. I cani affetti da rogna, ad esempio, non venivano trattati con medicine aziendali perché non era economico curare cani che sarebbero poi diventati invendibili. Mancando un controllo notturno, si verificavano anche numerosissimi casi di decesso per ingestione di segatura, soprattutto tra i cuccioli.
La struttura, composta di 5 capannoni, era inadeguata ad ospitare quel numero di beagle. “Gli animali venivano costretti a vivere in capannoni troppo freddi d’inverno ed eccessivamente caldi d’estate – spiegava in secondo grado la Corte d’appello – i box erano spesso sporchi ed imbrattati di feci e stabulavano (vivevano, ndr) insieme cani sani e cani affetti da patologie come la demodicosi o malattie intestinali”. Ci si trova di fronte “ad una precisa scelta aziendale di contenere i costi che sarebbero derivati da un adeguamento della struttura alle esigenze connesse ad un numero così elevato di cani”.
L’allevamento era stato messo sotto sequestro dalla Procura di Brescia nell’estate del 2012 in seguito al blitz degli animalisti che avevano liberato molti cuccioli (e che sono stati condannati in primo grado per furto aggravato). In seguito al sequestro, i 2500 beagle erano stati adottati da altrettante famiglie affidatarie, anche attraverso Legambiente e Lav.