Surfando tra le increspature dello spazio-tempo, i fisici delle collaborazioni internazionali Ligo e Virgo sono giunti al più ambito tra i riconoscimenti scientifici. La scoperta delle onde gravitazionali è stata premiata con il Nobel per la Fisica 2017. “Una scoperta che ha scioccato il mondo”, la definisce il segretario del comitato del Nobel nel dare l’annuncio. I vincitori sono il tedesco Rainer Weiss, del Mit di Boston e gli americani Barry Barish e Kip Thorne, entrambi del California institute of technology (Caltech). I tre fisici sono pionieri nello studio di questi bisbigli dell’universo predetti da Albert Einstein più di un secolo fa nella sua teoria della Relatività Generale. Kip Thorne, in particolare, è noto al grande pubblico per la sua collaborazione con il regista Christopher Nolan nella realizzazione del film Interstellar. Sue le affascinanti teorie sui buchi neri rotanti e i viaggi intergalattici attraverso cunicoli spazio-temporali.
“Le onde gravitazionali sono un modo del tutto nuovo di osservare gli eventi più violenti dello spazio e di testare i limiti delle nostre conoscenze”, si legge nel comunicato della Nobel Foundation. Anche stavolta, come già accaduto nel 2013 con il Nobel per la scoperta del bosone di Higgs, seppur in presenza di una scoperta corale, frutto dello sforzo congiunto di più di un migliaio di ricercatori di venti Paesi, i membri dell’accademia svedese hanno scelto tre nomi, il numero massimo di studiosi che può ricevere il Nobel.
L’accademia nell’annuncio di oggi ha, tuttavia, citato le collaborazioni internazionali Ligo e Virgo. La ricerca su questi sussurri dell’universo è, infatti, un’impresa scientifica collettiva, di livello globale. Un’impresa che vede l’Europa, e l’Italia in particolare, in prima linea con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), ente fondatore, insieme al Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs), di Virgo, l’interferometro che fa capo a Ego (l’European gravitational observatory). “Questa volta è stata premiata la globalità della scienza”, ha detto il direttore di Ego, Federico Ferrini, nella sede dell’Infn a Roma dedicando il brindisi al papà del rivelatore Virgo, Adalberto Giazotto. “Premiata la scoperta del secolo, realizzata dopo un secolo di attesa – commenta a caldo Fernando Ferroni, presidente dell’Infn, a Washington in queste ore per celebrare il genio di Enrico Fermi, a 75 anni dalla prima reazione a catena autoalimentata -. Il premio è un giusto riconoscimento a chi con tenacia, per oltre vent’anni, ha inseguito il visionario progetto di riuscire a captare il debolissimo segnale generato da un catastrofico evento avvenuto lontano, nel cosmo. Ci congratuliamo con i vincitori del Nobel e con tutti coloro che negli anni hanno lavorato strenuamente per raggiungere questo importante risultato della fisica, tra cui molti italiani, primo fra tutti Adalberto Giazotto, che – aggiunge Ferroni – ha dato un contributo fondamentale, individuando nella capacità di rivelare segnali a bassa frequenza la chiave del successo, e che già nel 2001 aveva proposto di realizzare una rete mondiale di interferometri”.
Virgo è un sofisticato strumento, disteso nella campagna pisana di Càscina con le sue due lunghe braccia a forma di “L”, di tre chilometri ciascuna. Un apparato sensibilissimo. Anche il minimo rumore, infatti, come quello delle onde marine in lontananza, può disturbarlo. E oscurare, così, l’eco di un’onda gravitazionale che, dopo un viaggio di miliardi di anni, scuote le sue braccia e l’intero Pianeta, esseri umani compresi, seppure in modo impercettibile. Oscillazioni più piccole del diametro di un protone, ma che questi speciali strumenti sono in grado di misurare con estrema precisione.
Questo Nobel pone il sigillo alla nascita di un nuovo modo di guardare al cielo. Rivoluzionario. Come quando Galileo Galilei, più di quattro secoli fa, puntò per la prima volta al cielo il suo cannocchiale. È l’alba di una nuova astronomia, la cosiddetta astronomia gravitazionale. Gli scienziati hanno adesso a disposizione un nuovo tipo di messaggero. Nuovi messaggi in bottiglia sparsi nel mare cosmico potranno a poco a poco essere decodificati. Consentendo, così, agli scienziati di andare sempre più indietro nel tempo nella storia dell’universo. Fino a penetrarne i segreti più reconditi, ai suoi albori. I primi 380mila anni dopo il Big Bang, infatti, sono ancora avvolti in una fitta nebbia. La luce allora era come intrappolata. Ma le onde gravitazionali possono squarciare questo velo, illuminare stagioni dell’universo bambino ancora al buio per gli studiosi. Per farlo, i ricercatori dovranno affinare ancor di più le sofisticate orecchie che hanno costruito in ascolto del cosmo. La speranza è di catturare la prima onda gravitazionale primordiale, un vero e proprio fossile risalente a quando l’universo emetteva i suoi primi vagiti, dopo il Big Bang. Lo stesso Kip Thorne poche settimane prima di vincere il Nobel aveva dichiarato, in occasione del congresso della società europea di fisica di Venezia, che non manca molto per compiere quest’altro balzo in avanti delle nostre conoscenze. Ancora 10-15 anni e, forse, saremo in grado di ascoltare il pianto del cosmo neonato: le onde gravitazionali emesse dal Big Bang.