Massimo Marchese, quasi 40 anni dedicati al liuto: “Ho sempre scelto di restare in Italia per costruire qualcosa di concreto, anche se la tentazione è sempre stata forte. E qui non riesco a vivere solo di musica”
Partire o restare? È questo il dilemma davanti al quale si trovano migliaia di giovani italiani con una laurea in tasca e poche prospettive per il futuro. La situazione, poi, diventa ancora più complessa per quanti sognano un lavoro nel settore della cultura come musicisti, attori o artisti. Ne sa qualcosa Massimo Marchese, nato a Savona 52 anni fa, che in quasi 40 anni dedicati alla musica antica e al liuto si è fatto una chiara idea della situazione italiana: “Da giovane ho avuto diverse occasioni per trasferirmi all’estero, ma ho sempre scelto di restare per costruire qualcosa di concreto – racconta -. Purtroppo, però, la mia è stata un’eterna lotta contro i mulini a vento”.
Dopo il diploma presso il Royal College of Music di Londra, dalla fine degli anni ’80 Massimo si è dedicato all’attività concertistica, ma sempre mantenendo la sua base in Italia: “A quei tempi c’era ancora qualche speranza di riuscire ad affermarsi e io coltivavo il sogno di diffondere la musica antica nel nostro Paese”, sottolinea. Dalla fine degli anni ’90, però, la situazione è precipitata: “Questo genere non è mai stato istituzionalizzato e ormai è difficilissimo trovare lavoro – ammette -, la maggior parte dei concerti che ho fatto negli ultimi due anni sono all’estero”. A questo bisogna aggiungere conservatori al collasso e corsi che chiudono: “Purtroppo non si riesce più a vivere di musica”, ammette.
Eppure nel corso della sua lunga carriera Massimo ha suonato e tenuto masterclass in tutto il mondo: “Ogni volta che vado all’estero ricevo importanti apprezzamenti da parte del pubblico e della critica, ma quando torno qua tutto quello che ho fatto sembra vanificato”, sottolinea. Nonostante le evidenti difficoltà, lui si è spesso rimboccato le maniche, cercando di dare un contributo concreto allo sviluppo del settore musicale: “Ho fatto il direttore artistico per diverse rassegne e portato avanti le mie proposte, ma è sempre stato un buco nell’acqua – sottolinea – il problema è che in Italia non viene riconosciuta la figura dell’artista a livello istituzionale. Ufficialmente ti dicono che sei importante, ma poi nella pratica non stanziano mai finanziamenti adeguati”.
E anche quando i fondi vengono disposti, non si punta mai a progetti culturali di lungo respiro: “Si organizzano sempre eventi che hanno una grossa risonanza mediatica e che garantiscono visibilità immediata alle amministrazioni”. Viene dunque spontaneo chiedere: c’è stato un momento in cui la voglia di mollare tutto e andare all’estero stava per avere la meglio?: “Assolutamente sì, ma ho sempre preferito tenere duro, un po’ per attaccamento al nostro Paese, un po’ per paura di ricominciare tutto da capo da un’altra parte”, ammette. Anche se la tentazione è stata forte: “So benissimo che la mia carriera poteva essere diversa – sottolinea -, qui non riesco a vivere solo di musica, per mantenermi devo anche insegnare”.
Nella sua voce, però, non si percepisce alcuna traccia di vittimismo o di recriminazione. C’è soltanto una cosa che gli preme dire su quelli che, come lui, hanno scelto di rimanere: “Siamo un esercito di fantasmi, ogni giorno cerchiamo di portare avanti la nostra battaglia per la cultura, ma nessuno ci ascolta”, sottolinea. Massimo non ha rimpianti, ma è ben consapevole che le condizioni lavorative sono perfino peggiorate in questi ultimi anni: “La mia generazione, pur con grossi sacrifici, è riuscita a trovare una strada, mentre i giovani che oggi vogliono operare nel settore della cultura si trovano davanti una situazione desolante – conclude -, quindi capisco perfettamente che andare all’estero sia l’unica opzione per portare avanti i loro sogni”.