Cinema

Blade Runner 2049, dopo Ridley Scott replicanti e cacciatori di androidi hanno una nuova straordinaria anima

Non per affossare l’estetica anni ottanta di Scott, ma Villeneuve rispettando la griglia narrativa della matrice ricostruisce, anzi allarga all’infinito fantascientifico, un mondo, più mondi, più set e ambientazioni, fino a sospendere la storia dei replicanti che provano sensazioni umane in una strabiliante spazialità futura. Potentissimo Blade Runner 2049 prima di tutto a livello figurativo

di Davide Turrini

6 ottobre 2021. Segnatevela. È la data su cui Denis Villeneuve erge il suo monumento al mito. Blade Runner 2049 è addirittura meglio del film di Ridley Scott del 1982. Trentacinque anni di attesa per dare anima, vita e densità a personaggi e storia che avevano probabilmente soltanto scivolato plasticamente sulla superficie patinata del cult. Non per affossare l’estetica anni ottanta di Scott, ma Villeneuve rispettando la griglia narrativa della matrice ricostruisce, anzi allarga all’infinito fantascientifico, un mondo, più mondi, più set e ambientazioni, fino a sospendere la storia dei replicanti che provano sensazioni umane in una strabiliante spazialità futura. Potentissimo Blade Runner 2049 prima di tutto a livello figurativo.

Inizia come un western, un duello tra un contadino di frontiera e un pistolero (c’è anche la zuppa che bolle sul fuoco), che non è altro che il solito refrain del cacciatore di taglie che mette fine alla vita artificiale e sofferta del replicante, poi prosegue omaggiando direttamente Philip K. Dick. Perché oltre alla Los Angeles buia, sovraffollata e piovosa che Villeneuve sembra mantenere dalla matrice scenografica originale di Scott soltanto come agonia privata e casalinga del poliziotto K (Ryan Gosling), l’incedere del protagonista, che è poi una detection attorno al mistero della possibile procreazione da parte dei replicanti, abita nelle maestose e ogni volta differenti location fatte di vuoto, desolazione, solitudine, silenzio, un po’ come Dick aveva fondamentalmente evocato ne Il cacciatore di androidi.

Villeneuve rispettando la griglia narrativa della matrice ricostruisce, anzi allarga all’infinito fantascientifico fino a sospendere la storia dei replicanti

Blade Runner 2049 vive di accumuli stratificati di lunghe sequenze in esterni che sembrano le possenti fasce di un’antica quercia. Non a caso la storia di questo sequel prende le mosse e si dirama nel momento in cui le radici e la terra sepolta di un albero, in mezzo a un deserto grigio e cupo fatto di vermi e aria rarefatta, fanno riemergere il dettaglio anagrafico di una sorprendente ma possibile umanizzazione dei Nexus 6, con tanto di spermatozoi e ovaie che sembrano avere compiuto la loro naturale funzione. Al deserto seguono almeno altri quattro-cinque set magniloquenti tra cui citiamo una sinistra distesa di ferraglia e rifiuti dove sono rintanate orde di bambini sfruttati per recuperare nichel; una disabitata e sfatta Las Vegas abbagliante rossastra tra una visione marziana e un tramonto perenne; una set inclinato buio di acqua e pioggia (“Ho visto cose…”) illuminato solo da neon di navicelle dove si svolge il sottofinale e dove c’è ancora qualcuno che invece di uccidere salva qualcun altro che non doveva salvare. K è sì il soggetto che muove l’azione, è la pedina che serve per compiere un atteso scacco al re, la solita pulizia dei replicanti rimasti, anche con la Tyrell fallita nel 2020 (un anno dopo l’ambientazione nel 2019 del primo Blade Runner) e un nuovo creatore (cieco) di replicanti il cinico Wallace interpretato da Jared Leto. Solo che qualcosa va storto.

L’imprevisto di una vitalità presunta, di un discendenza sanguinea tra quegli androidi forzuti, fa andare in tilt la sicurezza del protagonista mettendo in gioco il ricordo, la memoria, la possibilità dell’aver vissuto, dell’esserci stati nel corso del tempo. Illusione o realtà, a K. serve indagare in modo poco ortodosso, sviando il suo capo e la furente sadica tirapiedi di Wallace (Sylvia Hoeks, l’olandese vista ne La migliore offerta di Tornatore), incontrando una creatrice di ricordi autentici che vive in una camera sterile separata dal mondo da una parete di vetro, e finendo per richiamare più come fonte di informazioni, che in servizio attivo, il vecchio cacciatore di replicanti Rick Deckard.

Blade Runner 2049 vive di accumuli stratificati di lunghe sequenze in esterni che sembrano le possenti fasce di un’antica quercia

E se Harrison Ford letteralmente trafigge attesa e silenzio con venti-trenta minuti di recitazione spaccona e virile in cui domina lo schermo, e chiude il film con una dolcezza e una grazia che per alcuni è una citazione da Pickpocket di Bresson o da American Gigolò di Schrader (mentre per noi è cristallina autocitazione di Villeneuve da Arrival), Blade Runner 2049 mette in conto una fisicità purissima nella performance attoriale che scaccia definitivamente il divismo vecchia maniera fatto più di parola e sguardo.

Un po’ come Clint Eastwood aveva due espressioni, con cappello e senza cappello, Ryan Gosling infatti sembra avere quella con rigagnolo di sangue sul viso e senza rigagnolo. In fondo non è nell’intimità espressiva dei singoli che Villeneuve costruisce il senso di un Blade Runner che rinasce e rivive con prepotenza; ma in questa dicotomia del dentro e del fuori, interni vs esterni, che sembra mostrare uno iato, una distanza tra l’apparente durezza della sopravvivenza in ambienti ostili, e la possibile, ricercata pacificazione interiore rintanata in abitazioni, stanze, saloni che fungono da condensazione del passato. Vecchi termosifoni, divanetti,  stoviglie, anfore, registri cartacei, contrastano con la sicumera dell’ipertecnologizzazione di navicelle, armi e software. Anche gli ologrammi umanizzati, raffinata invenzione visiva e narrativa del film, sembrano oggetti casalinghi, utensili da cucina e da salotto, che rinfrancano sentimentalmente il protagonista sia nell’intimità del piacere coniugale (splendida Ana De Armond quasi in versione Her di Jonze), sia nella piacevole rievocazione vintage musicale di Elvis, Sinatra e Liberace affollati in una sequenza psichedelica e sotterranea da night che sfuma la tensione tra vecchi e nuovi cacciatori di taglie. Il cuore di Blade Runner 2049 sta lì, antico e solenne come la storia dell’uomo, come l’Angelus Novus di Klee citato da Walter Benjamin, sguardo rivolto al passato ma con il soffiare della storia che lo spinge in avanti. In sala da giovedì 5 ottobre in 750 copie.

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