Cultura

Doisneau/Pennac, le vecchie foto che fanno sentire medievali i nostri selfie

C’è stato un tempo in cui, al ritorno dalle vacanze, si correva il rischio di incappare in qualche malaugurato invito a casa di amici dove, senza speranza di grazia alcuna, si restava prigionieri del racconto per immagini di villeggiature, safari o viaggi di nozze. Era allora che si sperimentava il caduco sfogliare degli album, coi sipari di veline, il ritmico battito cardiaco delle diapositive, proiettate nelle buie stanze in cui i più pigri si abbioccavano, fino all’inesorabile oblio dei filmati amatoriali dalle dubbie regie e dall’incerto interesse.

Il digitale e i social ci hanno emancipato da quella trappola d’accomunanza, dacché ogni cannellone impiattato viene spiattellato in rete in tempo reale. E se è indubbio che dietro tutto questo ci sia un progresso liberatorio, c’è però da dire che l’argomento di quei noiosi pomeriggi tra sigarette e amarcord analogici aveva se non altro il pregio di fermare il tempo per divenire testimonianza. E sì perché, che lo si creda o no, le foto di una volta hanno un valore anche al di fuori della nostra sfera privata. O almeno lo avranno un domani, quando quelle istantanee racconteranno a chi verrà dopo di noi non tanto le gite o i buffet, quanto i nostri stili di vita o i modi di stare insieme nella vita di tutti i giorni.

Ebbene nell’epoca in cui l’immagine è divenuta esperienza, dove vivere il momento senza il filtro dello smartphone appare un’esperienza irrinunciabile, e in cui affidiamo a dei cloud i nostri momenti pubblici e privati, rischiamo di andare incontro a uno scenario desolato e inquietante.

Nel primo secolo del terzo millennio infatti si è ormai quasi perduta l’abitudine di stampare le foto e, così facendo, si va creando un vuoto di testimonianze storiche che, in futuro, non potrà in alcun modo essere colmato. La velocità con cui i supporti digitali superano loro stessi, e l’inesorabile ricambio dei formati di registrazione, comporta infatti il rischio di una perdita assoluta di questo genere di documenti.

Bellissimo, evocativo e financo ammonitore dunque il doppio racconto per immagini e parole che gli amici Doisneau e Pennac lasciano di una Francia ormai passata, sospesa in un bianco e nero che va dagli anni Trenta ai Sessanta, in cui trovano spazio le rimembranze delle feste, delle tavole apparecchiate per le serate in famiglia, dei bambini che giocano per le campagne.

Con Vita di Famiglia e Le Vacanze, L’Ippocampo ha recentemente pubblicato i due volumi nati dalla collaborazione tra il fotografo del Bacio davanti all’Hotel Deville e lo scrittore della saga dei Malausséne.

Nel primo si rimane colpiti dalla semplice felicità che traspare dai momenti colti tra sposalizi coi vestiti cuciti in casa, dalle linee delle carrozzine di una volta, con le dimensioni delle ruote proporzionali al livello di agiatezza delle famiglie. Risorge l’odiato rituale del bagnetto all’aria aperta nei cortili dei nonni, coi catini di zinco di fronte ai quali si formavano file e file di giovinetti infreddoliti, e la presenza della radio, in luogo della televisione, intorno alla quale, pur con le rispettive cose da sbrigare, si stava comunque tutti insieme, e dove la noia aveva il suo ruolo di contorno della realtà.

Nel secondo si rivelano le trasformazioni dovute all’introduzione delle ferie retribuite, e di come quindi la villeggiatura si diffonda come possibilità anche per le famiglie meno abbienti, e di come questo influenzi stili di vita comuni, i ricordi dei fanciulli e gli sguardi degli adulti. Assistiamo ai rituali delle partenze, tra bambini incappottati, valigie e stazioni, con automobili oggi d’epoca, biciclette e pudichi costumi da bagno, tra magliette rigorosamente a righe, retini, colazioni in casa e pranzi al ristorante.

Le foto colte di Doisneau e i dialoghi di Pennac ci fanno attraversare quei momenti con efficacia, e lo faranno nei giorni a venire. Raccogliamo dunque l’ammonimento di Vinton Cerf, uno dei padri fondatori di internet che, già qualche anno fa, lanciava l’allarme per il rischio di una desertificazione digitale della memoria, che condannerebbe il nostro presente, nei secoli, a venire percepito come una sorta di nuovo Medioevo.

Se abbiamo a cuore ricordi legati a delle foto, sviluppiamole e conserviamole non solo per noi stessi, ma anche per quelli che un giorno, grazie a un nostro scatto, potrebbero essere in grado di rivivere l’esperienza di un viaggio nel tempo a cavallo, ad esempio, di un bacio rubato a due innamorati. Altro che selfie.

Copyright: © Atelier Robert Doisneau