Zero. Neanche un contribuente “a rischio evasione” individuato dall’Agenzia delle Entrate, che pure da diversi anni ha a disposizione un archivio con le informazioni su flussi e saldi dei conti correnti degli italiani. E avrebbe dovuto usarle per scovare chi in banca ha molto più di quanto sarebbe giustificato dai redditi dichiarati. “Norma totalmente disattesa”, ha rilevato la Corte dei Conti in un rapporto diffuso a fine settembre, sottolineando il ministero dell’Economia non ha mosso un dito per sollecitare l’ente suo vigilato a sfruttare quella “immensa mole” di dati. Ma il caso dell’Anagrafe tributaria è solo la punta dell’iceberg: i rapporti dei magistrati contabili descrivono un sistema di riscossione che definire poco efficace è un eufemismo. E che negli ultimi anni è stato ulteriormente depotenziato: dal 2011 sono diminuite del 6,6% le risorse umane dedicate agli accertamenti e le indagini finanziarie delle Entrate sono calate dell 80%. Intanto tasse e contributi non versati sono arrivati a sottrarre alle casse dello Stato più di 110 miliardi di euro l’anno a fronte dei 581 miliardi di entrate 2016: l’equivalente di cinque manovre finanziarie e poco meno del costo annuale della sanità pubblica. “C’è un problema di ingegneria del sistema: con 300mila accertamenti ordinari l’anno, il rischio è talmente basso che per un autonomo è razionale evadere”, sintetizza Massimo Romano, che dal 2001 al 2002 è stato il primo direttore della (allora neonata) Agenzia delle Entrate e l’ha guidata di nuovo dal 2006 al 2008.

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