“Le principali linee di intervento che il governo ha avviato e si impegna a proseguire, per lotta all’evasione, sono l’analisi del rischio e l’incrocio delle banche dati“, sosteneva il ministro Padoan il 28 gennaio 2016. Ma nei numeri non si trova traccia dell’occhiuto Grande fratello fiscale in grado di stanare facilmente chi ha un conto in banca più che florido pur dichiarando pochissimo. Nel 2016 le indagini finanziarie – controlli su conti correnti e investimenti a fronte di anomalie emerse dall’Anagrafe tributaria – sono state solo 2.846 contro le 18.880 del 2012, quando a palazzo Chigi c’erano i “tecnici” di Monti: l’85% in meno. Nel 2013, con Letta al governo, erano scese a 14.123. Nel 2014 a 11.479. Nel frattempo si è insediato l’esecutivo di Matteo Renzi, che ha rinnovato i vertici dell’Agenzia e annunciato un cambio di strategia nella lotta all’evasione: basta blitz, meglio incentivare l’adempimento spontaneo e puntare sugli strumenti informatici. Ma nel 2015, quando il governo Renzi ha depenalizzato abuso del diritto ed elusione, si sono registrate solo 4.793 indagini, -58%. Nel 2016 ancora giù: 2.846. Per il 2017 il dato provvisorio è di 1.601. Un “chiaro sottoutilizzo”, annota la Corte dei Conti, prendendo atto del “progressivo indebolimento dell’attività di controllo fiscale, anche alla luce dell’enorme potenziale informativo assicurato dall’anagrafe dei rapporti finanziari” costata ai contribuenti (quelli che le tasse le pagano) 10 milioni di euro. Il Tesoro, che la relazione accusa di non essere mai intervenuto per sollecitare l’Agenzia a elaborare le liste selettive dei potenziali evasori e effettuare le analisi del rischio evasione previste dalla legge di Stabilità per il 2015, non ha risposto alle ripetute richieste del fattoquotidiano.it di spiegare la scelta.
Intanto sono diventati “del tutto marginali“, scrivono i magistrati contabili, pure gli accertamenti sintetici su chi risulta proprietario di navi, aerei o auto di lusso e non ha dichiarato abbastanza da giustificare l’acquisto: nel 2016 sono stati 2.812, il 51% in meno rispetto al 2015 e il 74,6% in meno sul 2014. Di accertamenti ordinari ne sono stati fatti 523.851, ma “se si escludono quelli collegati alla voluntary disclosure (323.861), risultano in diminuzione del 33% rispetto all’anno precedente, passando da 301.996 a 199.990“. E il “fisco amico” su cui puntava Renzi che risultati ha dato? “A fronte di 403mila lettere di invito a regolarizzare la propria posizione inviate nel 2016″, riferisce Di Vizio, “il gettito è stato di poco più di 128 milioni. Rispetto ai 19 miliardi di accertato è nulla. Del resto è chiaro che i contribuenti che volutamente non pagano le tasse sono molti di più rispetto a quanti sbagliano nel compilare la dichiarazione”.