Quando poi il fisco, nonostante tutto, incastra qualcuno, non è affatto detto che riesca ad incassare il dovuto. “Nel 34% dei casi e per il 38% delle cifre in ballo l’accertamento si definisce per inerzia del contribuente. Cioè chi ha ricevuto l’avviso non aderisce né fa ricorso, ma nemmeno paga”, continua Di Vizio. Eppure questa evasione sulla carta risulta “accertata” e finisce nel calderone delle somme ufficialmente recuperate: nel 2016 19 miliardi contando anche i 4,1 arrivati dalla procedura di rientro dei capitali nascosti all’estero a condizioni vantaggiosissime (voluntary disclosure). “Un record”, dissero l’allora direttore delle Entrate Rossella Orlandi e Padoan. Record di accertato ma non di incassi per lo Stato. La controprova è nella Nota di aggiornamento al Def appena approvata dal governo, da cui si apprende che “i versamenti risultanti a consuntivo 2016” derivanti dal contrasto dell’evasione ammontano a solo 11,48 miliardi. Nel 2014, si legge nell’aggiornamento al Def di quell’anno, erano stati 11,7. I progressi vantati, dunque, sono solo virtuali.
Sull’efficacia della riscossione da parte della oggi defunta Equitalia dice molto, peraltro, il confronto tra la massa dei ruoli affidati all’ente tra 2000 e 2016, che valgono 817 miliardi, e la cifra ritenuta “ragionevolmente” recuperabile: solo 51,9 miliardi. Perché come spiegato da Ernesto Maria Ruffini, direttore delle Entrate dallo scorso giugno, 147 sono dovuti da soggetti falliti, 85 da persone decedute o imprese cessate e 95 da nullatenenti, mentre su 348 miliardi sono già state tentate invano azioni di recupero e 32,7 miliardi non possono essere aggrediti “per effetto di norme a favore dei contribuenti”. Per aumentare gli incassi, spiega Di Vizio, bisognerebbe puntare di più sugli accertamenti a carico dei grandi contribuenti: “Sono quelli che più facilmente si concludono con la riscossione. Ma se ne fanno pochi”. Nel 2016 gli accertamenti ordinari su grandi gruppi ai fini di imposte sui redditi, Irap e Iva sono stati 2.367, lo 0,4% del totale, ma hanno fatto emergere ben 3,4 miliardi di maggiori tasse dovute contro i 4,2 portati alla luce da oltre 11mila controlli sulle medie imprese. “Buona parte dell’azione di controllo posta in essere”, commenta la Corte nella relazione sul Rendiconto generale dello Stato, è di “modesta proficuità“: il 49% dei 746mila controlli complessivi ha dato luogo a un recupero (potenziale) di maggiore imposta “non superiore a 1.549 euro“.