Dopo anni passati a sostenere la causa catalana in funzione dell'indipendenza padana, obiettivo tuttora contenuto nell'articolo 1 dello statuto, il Carroccio in versione nazionalista cambia posizione. In un'intervista a "La Stampa" il leader seppellisce l'anima separatista del partito: proiettato verso le politiche, si mostra freddo anche sul voto in Lombardia e Veneto
C’era un tempo, non molto lontano, in cui le bandiere della Catalogna sventolavano sul prato di Pontida e i partiti indipendentisti di Barcellona trovavano spazio nella scaletta dei raduni leghisti. Basta sfogliare i giornali di qualche settimana fa, poi, per trovare il segretario del Carroccio Matteo Salvini che esprime “totale solidarietà ai cittadini arrestati in Catalogna dal governo spagnolo per impedire un libero referendum” o il capogruppo della Lega in Regione Lombardia che propone di esporre il vessillo catalano sul Pirellone. Insomma, fino a poco fa i leghisti abbracciavano i “fratelli” catalani nel nome di una comune lotta per l’indipendenza dallo Stato “ladrone”. Ma ora il clima è cambiato e il Carroccio – ora in versione governativa, e non più indipendentista – non può più permettersi di appoggiare la consultazione catalana di domenica scorsa.
“Il voto catalano è stato una forzatura“, ha detto Salvini in un’intervista a La Stampa. La differenza con il referendum consultivo del 22 ottobre in Lombardia e Veneto, assicura il segretario, è “totale”. “Spero che in Catalogna si troverà un accordo. Certo, il comportamento del governo spagnolo è stato indegno. Le bastonate e i proiettili di gomma sulla gente inerme che voleva solo votare mi hanno disgustato. A Madrid sono o pazzi o sbronzi”. Ma Salvini è tranquillo e sa di poter virare la rotta del partito: secondo lui l’anima separatista della vecchia Lega è definitivamente sepolta e nemmeno la consultazione catalana riuscirebbe a risvegliarla. “Mi sembra che sia chiaro a tutti che l’assetto migliore per il Paese sia quello federale – continua nell’intervista – non ci sono nostalgie per la Padania“.
E pensare che, un tempo, era lo stesso Carroccio a proporre un referendum per separare il nord dall’Italia, obiettivo tuttora contenuto nell’articolo 1 dello statuto di via Bellerio. Il “giorno dell’indipendenza”, quel 15 settembre 1996 in cui Bossi e i suoi marciarono sul Po e, giunti a Venezia, dichiararono la nascita della Repubblica federale padana, sembra oggi più che mai lontano. A quell’annuncio seguì, nel maggio 1997, la consultazione che avrebbe dovuto ufficializzare la separazione: votarono poco più di 4,8 milioni di persone, di cui il 97% espresse il proprio “sì” all’indipendenza padana. Il risultato, però, non fu mai riconosciuto formalmente da nessuno Stato sovrano, men che meno dall’Italia né da altre forze politiche del Paese. Copione identico a quello catalano, dunque. Con la differenza che, se prima la Lega faceva la parte dell'”oppresso”, ora sta dal lato dell'”oppressore”.
Il riposizionamento di via Bellerio sulla Catalogna rientra nel percorso di trasformazione del partito da nordista a nazionalista, percorso cominciato con la leadership di Salvini ma già spianato dall’accordo di governo tra Bossi e Berlusconi del 2001. Questa metamorfosi spiega anche la freddezza del segretario della Lega sui referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto. Salvini, infatti, ha aspettato gli ultimi giorni di settembre per partecipare al suo primo evento a sostegno della consultazione del 22 ottobre, voluta dal suo stesso partito a livello locale. Il segretario si trova nella posizione scomoda di proporsi da un lato come sostenitore di una maggiore autonomia regionale e dall’altro come leader nazionale in vista delle elezioni politiche del 2018. E infatti tutti gli esponenti del Carroccio si affrettano, ora, a specificare nelle interviste come il referendum per l’autonomia sia previsto dalla Costituzione, a differenza di quello catalano.
In un caso, però, Salvini ci ha tenuto ad intervenire: quando, pochi giorni fa, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha bollato le consultazioni in Lombardia e Veneto come “inutili” e solo “propagandistiche”. Parole che hanno fatto infuriare il presidente lombardo Roberto Maroni, che ha annunciato che “valuterà queste dichiarazioni sul piano della lealtà dell’alleanza di governo” in Regione. In questo caso Salvini ha ritenuto di dover replicare, per mantenere le gerarchie: “Sul referendum Meloni ha toppato. Più i popoli decidono, meglio si spendono i soldi e più è difficile rubare”. C’è confusione in via Bellerio.