Le foto di Mussolini, gli slogan del Duce, il linguaggio violento sui cartelli, i motti del fascismo, tra l’altro con più di uno strafalcione. In ogni caso, tutta questa roba che campeggiava nello stabilimento balneare Playa Punta Canna di Chioggia, in provincia di Venezia, non è apologia del fascismo. Con questa motivazione la Procura di Venezia ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta che vedeva indagato il gestore del lido, il 64enne Gianni Scarpa. Di sicuro, spiegano i magistrati, il modo in cui era agghindato quello stabilimento non è un pericolo per lo Stato. Sopra le righe, sì, ma non costituiscono di per sé un’azione di proselitismo fascista che metta a rischio le istituzioni. Il procuratore Bruno Cherchi e la sostituta Francesca Crupi, che hanno firmato la richiesta di archiviazione sulla base delle indagini della Digos, hanno ritenuto le immagini del Duce e i richiami al manganello un’articolazione del pensiero del gestore della spiaggia, non una reale apologia, ovvero una violazione dell’articolo 4 della legge 645 del 1952, cioè la legge Scelba. Spetterà ora al Gip decidere se chiudere definitivamente il fascicolo.
I cartelli e le immagini del Ventennio, del resto, erano già stati fatti togliere a Scarpa su ordine del prefetto di Venezia, non appena all’inizio di luglio la storia portò il gestore dello stabilimento a diventare il nuovo eroe dei nostalgici del Duce. La vicenda era divenuta subito un caso politico, anche perché scoppiata mentre in Parlamento approdava il nuovo ddl sull’apologia del fascismo, proposto da Emanuele Fiano. Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini era stato il primo a portare solidarietà a Scarpa, presentandosi al Lido di Chioggia per difendere “non una posizione politica”, aveva spiegato, ma la possibilità di “fare liberamente impresa e di non sottoporre a processo le idee del passato”. Di tutt’altra opinione l’Anpi che, ricordando come la spiaggia sia suolo pubblico, aveva invocato la sospensione della concessione demaniale al gestore.