L'inchiesta ha portato all'arresto di due persone. "Vivevano in condizioni disumane" spiega Così il colonnello Andrea Intermite, comandante provinciale carabinieri di Taranto
“Vivevano in condizioni disumane” ed erano “ridotti quasi in schiavitù” i 35 romeni che lavoravano nelle campagne tra Ginosa e Castellaneta, in provincia di Taranto, e venivano ospitati dal datore di lavoro in un casolare isolato, senza contatti con l’esterno, sfruttati e sottopagati. Così il colonnello Andrea Intermite, comandante provinciale carabinieri di Taranto, descrive le condizioni di lavoro che sono emerse dall’indagine sfociata nell’arresto di un 43enne imprenditore di Ginosa e del suo caporale, un 25enne romeno.
I due sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro nell’ipotesi aggravata, nonché di estorsione, furto aggravato, lesioni personali e tentata violenza privata in concorso. Ai due è stata notificata una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Giuseppe Tommasino su richiesta del sostituto procuratore Giorgia Villa. L’indagine è partita nel febbraio scorso dopo la denuncia presentata, con il supporto della Flai Cgil e della segreteria Cgil di Taranto, da cinque romeni (tre uomini e due donne), abbandonati da uno dei loro aguzzini davanti al terminal bus di Porta Napoli. I braccianti hanno così raccontato la loro odissea. Lavoravano fino a 17 ore al giorno senza diritti vivendo assieme ad altri connazionali in un vero e proprio tugurio. Nella realtà la paga oraria era di 1,50 euro l’ora (4 euro il compenso pattuito) e non era mai superiore a duecento euro al mese, al netto delle spese che i lavoratori erano costretti a rimborsare, sia al datore di lavoro, sia al suo ‘caporalè, per il posto letto, per le sigarette, per i generi alimentari e di prima necessità, oltre a quelle per il trasporto.
I carabinieri hanno scoperto che due braccianti romeni, un uomo e una donna, sono stati picchiati dal caporale e da altri tre connazionali, un’ispezione dei militari nel magazzino in cui i lavoratori riponevano nelle cassette la frutta e gli ortaggi che raccoglievano nelle campagne perché sospettati di essere ‘confidenti’ degli investigatori. I tre romeni che hanno partecipato alle spedizioni punitive nei confronti dei braccianti (un uomo riportò fratture al volto giudicate guaribili in un mese e una donna lesioni al volto e all’addome guaribili in pochi giorni) sono stati denunciati per lesioni personali. Nel corso dell’ispezione è stata rinvenuta una contabilità parallela dei due arrestati.
I braccianti venivano accompagnati in banca per cambiare l’assegno che veniva loro consegnato, ma all’uscita il caporale tratteneva per sé buona parte di quel denaro. Particolarmente indicativa dello stato di degrado in cui versavano i lavoratori è la circostanza che gli stessi erano costretti ad espletare le proprie necessità fisiologiche all’aperto (erano solo due i bagni: uno esterno e uno interno a una struttura attigua) e a usufruire per soli cinque minuti al giorno delle docce – sei quelle presenti – in modo promiscuo e contemporaneo. L’Asl ha certificato l’anti-igienicità e inabitabilità della casa rurale nella quale alloggiavano i lavoratori, che dormivano in letti a castello all’interno di un locale le cui pareti erano ricoperte di muffa e spesso facevano capolino topi e scarafaggi.