La multinazionale danese Royal Unibrew, un Leviatano globale dell’alcol e dei soft drink già noto dalle nostre parti per la birra Ceres, ha insomma messo a segno un colpo che ridisegna la mappa sud-europea delle bibite gassate e tout-court
Altro che biscotti pieni di burro. Gli scandinavi partono alla conquista dell’Italia che beve, alzando il gomito o meno (ormai il confine, anche qui, è labile), comprandosi uno dei più noti nostri marchi analcolici, la Lemonsoda. Stagliato da decenni nell’immaginario collettivo per via di un modo di dire incrollabile come l’afflato amoroso: “limoniamo?”. E tutti in coda al supermercato o alla drogheria di quartiere a procacciarsi l’afrodisiaca bevanda miracolosa. Altro che le pillole blu, le sostanze euforizzanti, l’effetto placebo e persino quel gelato al limone tanto caro a Paolo Conte. Basta(va) una lattina per mettere subito le cose in chiaro con il partner potenziale. Il volo della freccia di Cupido aveva il suono dello strappo della fatale linguetta di alluminio. A quel prezzo, poi.
La multinazionale danese Royal Unibrew, un Leviatano globale dell’alcol e dei soft drink già noto dalle nostre parti per la birra Ceres, ha insomma messo a segno un colpo che ridisegna la mappa sud-europea delle bibite gassate e tout-court. 80 milioni di euro per prendersi la Lemonsoda, compreso il mitico stabilimento piemontese di Crodo.
Ma almeno il Crodino resta di proprietà della Campari, che con la cessione del suo simil-oro liquido effervescente prosegue la sua recente politica di dismissioni. Non è il momento di stappare Crodini di felicità. Da quando ha acquisito, con un esborso-kolossal, la Grand Marnier, la multinazionale italiana della famiglia Garavoglia ha cominciato a potare i suoi prodotti più nazional-popolari, per consacrarsi alla fascia più alta del mercato. I debiti premevano e hai voglia allora a berci su: non c’è oblio alcolico o da addizione di anidride carbonica che tenga, quando i bilanci sono in rosso di 1,2 miliardi di euro. Perciò il manager turco-austriaco Bob Kunze Concewitz, alla plancia di comando della Campari da un decennio, non c’ha pensato su due volte e ha sacrificato la Lemonsoda: senza soverchie lacerazioni sentimentali, sarà che a Istanbul, dove si è fatto uomo, si limonava in altri modi. E nei mesi scorsi erano stati venduti altri brand, tra cui Sella&Mosca, la più grande tenuta vinicola del Vecchio continente.i
Certo, ultimamente Lemonsoda assorbiva appena il 2% del suo fatturato, con 33 milioni di ricavi. E la Campari vuole commerciare d’ora in poi in bottiglie costose o esclusive, prodotti internazionali come il “nuovo” gin Bullfrog e gli storici Aperol e Campari, eccellenze locali del rango dell’amaro Averna e dell’intramontabile Cynar. Quasi dimenticavamo: con la Lemonsoda, i perfidi danesi ci hanno portato via pure Oransoda. Una Caporetto, in questo caso, meno dolorosa: nessuno ha mai sentito due amanti sussurrarsi dolcemente all’orecchio, con o senza telecamere puntate addosso, “Aranciamo?”.