Nel luglio scorso l'ex consigliere economico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, torna sui suoi passi. E in un verbale reso avanti al procuratore di Roma, e pubblicato dalla Verità, smentisce se stesso. Perché ha detto a Marroni che aveva i telefoni sotto controllo? Per levarselo di torno, perché il manager "era avvolgente e caramelloso". E perché ha inguaiato il ministro dello Sport? "Per uscire dalla situazione"
All’autorità giudiziaria di Napoli ha mentito perché era sotto stress: a Firenze, infatti, erano scoppiate delle tubature sotterranee. E il nome di Luca Lotti lo ha fatto per “levarsi dalla situazione“. È questa la colorita giustificazione fornita da Filippo Vannoni, chiamato a riferire il motivo per cui avrebbe riferito falsità ai pm partenopei che lo hanno interrogato come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta Consip il 21 dicembre del 2016. A tirarlo in ballo, il giorno prima, era stato Luigi Marroni. “Vannoni una prima volta subito prima dell’estate del 2016 e una seconda volta una ventina di giorni fa mi ha detto e ribadito che avevo il telefono sotto controllo; il Vannoni non mi ha detto da chi lo aveva appreso”, ha detto l’ex amministratore delegato della centrale acquisti della pubblica amministrazione. Ventiquattro ore dopo, il presidente di Publiacqua Firenze conferma: “Ricordo di aver detto a Marroni che aveva il telefono sotto controllo, ma in questo momento non sono in grado di dire chi e in che termini mi abbia dato questa informazione; sicuramente, prima di parlare con il Marroni e dirgli che aveva il telefono sotto controllo, il Lotti mi ha sicuramente detto che c’era una indagine su Consip”.
Nel luglio scorso, però, l’ex consigliere economico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, torna sui suoi passi. E in un verbale reso avanti al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, all’aggiunto Paolo Ielo e al pm Mario Palazzi, smentisce se stesso. Perché ha detto a Marroni che aveva i telefoni sotto controllo? Per levarselo di torno, perché il manager “era avvolgente e caramelloso“, dice Vannoni. Una giustificazione molto strana, visto che – come fanno notare i magistrati nel verbale pubblicato da La Verità – Vannoni e Marroni sono amici di vecchia data. “Ci conosciamo da molti anni, avendo frequentato l’ambiente della sanità fiorentina ed essendo sorto un rapporto di amicizia“, ammette il dirigente di Publiacqua che poi accusa Vannoni di “non essere più compatibile con l’incarico delicato da lui assunto, anche e soprattutto in un ambiente difficile come quello romano”. In pratica la stessa linea tenuta dal Giglio Magico dal giorno dopo l’esplosione dell’inchiesta Consip fino al definitivo allontanamento dello stesso Marroni dal vertice della società.
I pm romani si chiedono: ma perché Vannoni non ha detto agli inquirenti romani di aver riferito a Marroni delle intercettazioni telefoniche solo “per levarselo di torno“? “Non sono stato in grado di esprimere questa circostanza. Non riuscivo neppure a rispondere compiutamente alle domande, nelle situazioni di stress vado in crisi e non riesco a esprimermi adeguatamente”, dice l’ormai ex testimone, ora indagato dai pm romani per favoreggiamento. A quello stress, poi, andava aggiunta la preoccupazione legata ad alcune tubature che “erano scoppiate” a Firenze, che avrebbero portato Publiacqua a dover affrontare “delle situazioni risarcitorie complesse“.
Quasi surreale è la descrizione che Vannoni fa del suo interrogatorio a Napoli. “Sono stato sentito in una piccola stanza, erano in tanti, era piena di fumo, non stavo fisicamente bene perché reduce da una bronchite e mi sono sentito intimorito per le modalità particolarmente pressanti con cui è stato condotto l’esame”. Per questo motivo, e cioè per il fumo nella stanza, spiega il testimone, che ha tirato in ballo il ministro dello Sport Lotti accusandolo di rivelazione di segreto. “Per levarmi dalla situazione ho fatto il nome dell’onorevole Lotti, perché era l’unica persona che conoscevo tra quelli che, secondo quanto mi veniva detto, erano stati fatti da Marroni”. E visto che in questo modo rischia di non essere abbastanza chiaro, l’avvocato di Vannoni chiede al suo cliente di specificare: “Lotti – dice lui – non mi ha detto di intercettazioni su Consip. Ho fatto il suo nome per uscire dalla situazione. E no, non conosco il generale Emanuele Saltalamacchia e neanche Luigi Ferrara“. Cioè le altre due persone accusate da Marroni di rivelazione di segreto. Resta da capire Vannoni da chi avesse saputo delle intercettazioni in corso negli uffici della Consip. Perché in questo romanzo di rivelazioni e marce indietro un fatto è assolutamente cristallizzato: Filippo Vannoni, manager fiorentino e intimo del Giglio Magico, sapeva in anteprima di un’inchiesta aperta dalla procura di Napoli sugli uffici romani della centrale acquisti della pubblica amministrazione. Come facesse a saperlo è un mistero.