La vicenda Cirio è stato il doloroso antipasto di una nuova stagione di crac finanziari che di lì a poco colpirà duramente i risparmiatori italiani mettendo a nudo il duplice ruolo svolto dalle banche: principali creditori dei gruppi in dissesto e – al tempo stesso – principali responsabili del collocamento di azioni e bond di quegli stessi gruppi presso i correntisti. Cirio era da tempo in difficoltà, ma la situazione iniziò a precipitare nel 2002 e in poco più di un anno si arrivò al default. La parte industriale e i posti di lavoro vennero salvaguardati grazie al ricorso all’amministrazione straordinaria, la cosiddetta Prodi-bis.

Era l’ottobre 2003 e a quel tempo la voragine Cirio parve enorme: il default colpì oltre 30mila risparmiatori che avevano acquistato bond per qualcosa come 1,125 miliardi di euro. Il patron della Cirio, Sergio Cragnotti, i suoi figli e moltissimi manager vennero accusati di truffa, aggiotaggio, bancarotta, falso in bilancio, false comunicazioni sociali, appropriazione indebita e nel mirino delle procure finirono anche banchieri di primissimo piano tra cui l’amministratore delegato della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani, e l’allora potentissimo presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, condannato in via definitiva a quattro anni. Come si vedrà di lì ai mesi successivi, la vicenda Cirio si intersecava strettamente con quella di un altro grande malato: la Parmalat di Calisto Tanzi, che con i suoi 14 miliardi andati in fumo rappresenta la “madre” di tutti i fallimenti.

A fare da trait d’union tra il crac Cirio e quello Parmalat è proprio la figura di Geronzi. Creditore sia di Cragnotti sia di Tanzi, il numero uno di Capitalia farà ad esempio acquistare da Parmalat il settore latte della Cirio in modo da far entrare liquidità nelle casse di un gruppo sull’orlo del fallimento e garantirsi il rimborso di una parte dei finanziamenti in spregio a tutti gli altri creditori. Era dal 1998 che il gruppo alimentare di Cragnotti aveva iniziato a indebitarsi sempre di più attraverso l’emissione di bond, utilizzando il 50% del ricavato proprio per rimborsare i prestiti delle banche, quelle stesse banche che collocavano i bond ai loro correntisti. Il castello di carte ha retto per qualche anno, ma alla fine l’equilibrio si è rotto e il gruppo è andato a gambe all’aria.

In questa vicenda, così simile ad altre accadute dopo, non c’è solo la mala gestio di Cragnotti e dei suoi manager e la cinica avidità delle banche, che non esitano a scaricare scientemente sui correntisti carta cattiva pur di rientrare dei finanziamenti. C’è anche l’appropriazione indebita. Cirio era una società quotata in Borsa ma con la sua cassa Cragnotti ha saldato debiti personali, ha arredato le sue case, ha pagato il suo yacht, ha dato la “mancetta” ai figli e, soprattutto, ha gonfiato di miliardi i propri conti correnti cifrati nei paradisi fiscali. “Sono un imprenditore abbandonato”, dichiarerà all’indomani del crac. Insomma, una vittima del sistema.

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