In uno dei monologhi di Mistero Buffo – Grammelot dell’avvocato inglese – Dario Fo raccontava di una legge medievale per cui il violentatore potesse salvarsi dalla condanna spargendo velocemente delle monete ai piedi della vittima a mo’ di risarcimento e recitando una formula rituale che lo rendeva intoccabile. Dario Fo ci parlava del Medioevo ma oggi?
Oggi accade in Piemonte. Una donna subisce stalking per mesi (qui l’intervista rilasciata a Repubblica) viene controllata con appostamenti e inseguimenti, da casa sua fino al luogo di lavoro o verso casa del fidanzato. Ovunque vada, lui la segue e pedina. La sua vita non le appartiene più, viene sottratta da un uomo che la controlla quotidianamente, violando la sua privacy, imponendole una paura quotidiana. Quante volte avrà pensato alle donne aggredite, o peggio uccise, dai loro stalker? Quanta angoscia, rabbia, senso di impotenza avrà vissuto? Così si decide a denunciare lo stalker, che finisce in tribunale ma ne esce senza conseguenze. Ha il solo disturbo di pagare 1.500 euro, somma rifiutata dalla donna ma giudicata, a quanto pare, congrua dal gup (Giudice per udienze preliminari).
Questo è avvenuto grazie alla riforma del codice penale che porta il nome di Andrea Orlando, ministro della Giustizia del governo Gentiloni, che con l’obiettivo anche condivisibile e giusto di alleggerire il carico di lavoro dei tribunali e dare ai cittadini e alle cittadine una giustizia più veloce, ha commesso una svista. Ha introdotto le cosiddette condotte riparatorie per i reati procedibili a querela di parte (e che prevedono la possibilità di ritirare la querela) escludendo quelli ritenuti più gravi, ovvero procedibili d’ufficio. Non ha però valutato adeguatamente la ricaduta sul reato di stalking “nell’ipotesi lieve” che può essere rimesso a querela di parte (mentre nei casi più gravi è perseguito d’ufficio). La svista riguarda l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul ratificata dallo Stato Italiano nel 2013 che vieta il ricorso a metodi alternativi di risoluzione dei conflitti tra cui la mediazione e la conciliazione nei casi di violenza maschile contro le donne.
In un comunicato divulgato questa mattina, D.i.Re donne in rete ribadisce che “così facendo si ignora la sicurezza della vittima, si banalizza la gravità della violenza di genere, si nega l’accesso alla decisione giudiziale alla vittima e si aprono le porte alla vittimizzazione secondaria che la Convenzione di Istanbul ha inteso evitare”. Lella Palladino, neoeletta presidente Di.Re, commenta amaramente: “1.500 euro non bastano, né sarebbero voluti molti di più, per risarcire la donna per il danno subìto da atti persecutori che ne hanno minato la libertà di vita”. Il denaro non basta, ci vuole una giustizia che non prescinda dal sentire delle donne che denunciano violenze e che già vivono nella violenza del femminicidio l’attacco alla loro identità e a maggior ragione la loro voce non può essere ignorata in Tribunale.
Oltre alla Convenzione di Istanbul, anche la Cedaw (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women) aveva messo in guardia lo Stato italiano dall’applicazione della giustizia riparativa nei casi di violenza di genere. La Corte di Strasburgo con la sentenza Talpis ha inoltre recentemente condannato l’Italia proprio per la sottovalutazione, la discriminazione e la non applicazione delle norme.
La scorsa estate Telefono Rosa e la Cgil avevano protestato contro la riforma e D.i.Re aveva sollecitato il governo a non rendere procedibile d’ufficio il reato di stalking chiedendo di escludere dalla riforma i reati che riguardano la violenza contro le donne proprio in virtù delle Convenzioni internazionali che le tutelano. Il ministro Orlando aveva promesso “vedremo, faremo, porremo rimedio”. Nulla è stato fatto: passa l’estate e arriva l’autunno, mentre il governo temporeggia noi siamo arrivati al dunque. Una donna ed il suo stalker sono entrati in tribunale e chi ne è uscito meglio secondo voi?
@nadiesdaa