L’ex parlamentare Udc Cosimo Mele è morto in seguito a un’ischemia cerebrale che lo ha colpito nella serata di venerdì. Come deciso dall’ex deputato prima di morire, la famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi. Le condizioni cliniche dell’ex onorevole Udc e in passato sindaco di Carovigno, in provincia di Brindisi, erano subito apparse disperate: arrivato all’ospedale di Ostuni, il complicarsi del quadro clinico aveva comportato il trasferimento nel capoluogo di provincia, dove è deceduto nel primo pomeriggio. L’ex parlamentare dell’Udc aveva 60 anni e nel 2007 è stato protagonista di uno scandalo per una serata a luci rosse nell’hotel Flora di Roma. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio l’allora onorevole si trovava in una suite dell’albergo di via Veneto in compagnia di due escort, una delle quali, Francesca Zenobi, accusò un malore e dichiarò di aver assunto cocaina che, a suo dire, gli era stata data proprio da Mele. Da quelle accuse l’ex parlamentare è stato prescritto e assolto nel maggio 2016. Nel frattempo Mele era stato costretto a dimettersi dall’Udc e non venne ricandidato alle politiche del 2008.
Scomparve dalla scena politica per due anni, prima di tentare l’avventura in consiglio provinciale prima e regionale poi. Nel 2013, il grande ritorno con l’elezione a sindaco di Carovigno: “È il mio riscatto”, disse. L’esperienza finì però anzitempo per lo sgretolarsi della sua maggioranza, ma l’ex deputato avrebbe voluto riprovarci due anni più tardi. Con l’appoggio del Partito Democratico, Mele era pronto a ritentare l’elezione ma tutto naufragò proprio per il sostegno dei dem di Carovigno, che vennero contestati da Michele Emiliano, allora segretario per la Puglia. Impegnato nella campagna per le Regionali, l’attuale governatore negò l’uso del simbolo e Mele, alla fine, si fece da parte. “Gli eletti che rubano e fanno le peggio cose sono tollerati e riveriti – disse a ilfattoquotidiano.it – Quelli che commettono errori nella vita privata sono marchiati a vita, perché nulla gli si perdona”. Da allora, era tornato a curare le sue attività imprenditoriali nel settore edile, nonostante avesse la vittoria in tasca. “Lo sanno tutti che stravincerei ed è il segno più forte del mio riscatto umano e politico”, aggiunse.
“Ogni volta che questa storia viene a galla sono pugnalate che fanno lo stesso male. Mi hanno ferito, certo, ho quattro figli e a loro devo render conto – raccontò a Il Fatto – Ma la ferita vera è per la città, per la gente che non capisce le regole della politica e il potere della sua doppia morale, quella che perdona tutto a chi ruba e nulla a chi sbaglia nel privato, senza danneggiare nessuno”. La definì “un’ipocrisia nazionale su cui sarebbe bene riflettere” perché sui fatti dell’hotel Flora, quando ancora erano lontani gli scandali che avrebbero travolto il governatore Marrazzo e le cene eleganti di Arcore, “venne scritta un’enciclopedia” mentre “su certi candidati in corsa oggi si potrebbero scrivere almeno libri”. Un anno più tardi, Mele vide chiudersi la vicenda giudiziaria al termine del processo di primo grado durato sette anni e trenta udienze: il giudice monocratico Chiara Riva ritenne “modica” la quantità di cocaina data alla escort e optò per il non luogo a procedere per prescrizione, mentre lo assolse per un altro episodio di cessione a un altro uomo.