Può generare ripercussioni psicofisiche impressionanti. Certo, prevenire sarebbe, pure qui, meglio che curare: “è buona abitudine cercare di fare scaricare il più possibile la batteria del cellulare e ricaricarla soltanto una/due volte al giorno sia per risparmiare energia che per farle durare di più, senza lo stress dalle continue ricariche” la giaculatoria dei tecno-medici
Hai voglia a riprometterti “mi comprerò un bel caricabatterie portatile, e soprattutto mi ricorderò di portarmelo dietro” o “seguirò le istruzioni del mio personal coach tecnologico per ridurre i consumi”. Tanto ci ricadi fatalmente, giorno dopo giorno, e non ci sono rassicurazioni sulla disponibilità di prese elettriche-salvavita che tengano. È un disturbo psicologico di nuovissima generazione che ti assale fin dal mattino, non appena scolleghi la tua protesi, alle volte usata anche per telefonare, dal pieno di energia notturno. E che si accentua nelle situazioni di estremo pericolo, per esempio quando sei in fila alle poste o dal dentista e ti si spegne di botto, o comincia a scendere sotto il 10 per cento di autonomia proprio mentre Google Maps ti sta conducendo allegramente (dopo l’ultimo ricalcolo di percorso) in un torrente di montagna infestato dai coccodrilli.
E il senso di vuoto cosmico che si prova in queste occasioni non è indescrivibile, perché riguarda buona parte di noi. Si chiama “ansia da ricarica”, ed è una vera e propria forma patologica che colpisce un buon 50 per cento degli italiani. Forse l’effetto collaterale più deleterio di una delle madri delle patologie psicologiche contemporanee: la dipendenza dagli smartphone.
Il terrore di rimanere con la batteria scarica può generare ripercussioni psicofisiche impressionanti. Certo, prevenire sarebbe, pure qui, meglio che curare: “è buona abitudine cercare di fare scaricare il più possibile la batteria del cellulare e ricaricarla soltanto una/due volte al giorno sia per risparmiare energia che per farle durare di più, senza lo stress dalle continue ricariche” la giaculatoria dei tecno-medici. Ma i camici bianchi tradizionali disegnano scenari davvero foschi.
Alza il tiro del problema una ricerca condotta dall’Associazione di psicologi di Padova “Donne e qualità della vita”, in collaborazione con Estra. Quali sono i sintomi ricorrenti dell’“ansia da ricarica”? Palpitazioni e sudorazione eccessiva (28%); insonnia e preoccupazione (24%); incubi notturni (19%); nervosismo e forte irascibilità (16%); mal di testa e disorientamento (13%).
La sindrome affligge in particolare i single (26%) e i giovani tra i 16 e i 35 anni (24%), for ever online. A seguire le donne dai 35 ai 65 anni (18%) e gli uomini della medesima fascia d’età (16%). Anche gli anziani (15%) esigono un telefonino sempre ben carico, per ogni evenienza. Il principe dei device ansiogeni è lo smartphone (39%), che trionfa sull’iPad e sui tablet (30% delle preferenze), sui pc portatili (26%) e sugli iPod e lettori mp3 (21%). Cenerentole gli ebook reader, i lettori di libri digitali (16%) prediletti da qualche anima eletta sulla metro o in treno.
E qual è il momento della giornata peggiore per gli ansiosi da ricarica? È la notte nel 41% dei casi (invece delle pecore si contano magari i caricabatterie colorati, prima quelli originali e poi quelli compatibili per cercare di prendere sonno). Va un po’ meglio la mattina (32%), ultimo approdo utile per alimentare il cellulare all’inizio della giornata. Altrimenti si ripongono le speranze residue nell’ufficio o nel posto di lavoro (21%). I pendolari e i viaggiatori (17%) pregano che santa Trenitalia, sant’Italo o la beata (si fa per dire) compagnia di trasporti locali su autobus forniscano un qualche attacco elettrico. Altrimenti è ansia nera, che non puoi nemmeno comunicare su Facebook.