Rania Ibrahim nel suo romanzo d'esordio racconta la storia tra Laila, ragazza anglo-araba velata e di fede musulmana, e Mark, non musulmano e figlio di un leader di estrema destra di Dover. E in un certo senso parla anche di sé: "Quando dissi alla mia famiglia che mi sarei sposata con un cattolico mi hanno risposto 'perché ci hai fatto questo?'"
“Per alcuni genitori sembra che l’imene sia l’unica parte importante di loro figlia. Per alcuni, è più importante questa membrana che il sorriso della loro bambina”. Parla senza mezze misure Rania Ibrahim e con lo stesso stile chiaro e diretto ha scelto di raccontare nel suo romanzo d’esordio, Islam in Love, il rapporto tra sesso e islam. Più di quattrocento pagine per affrontare la storia tra Laila, ragazza anglo-araba velata e di fede musulmana, e Mark, non musulmano e figlio di un leader di estrema destra di Dover. Un romanzo di finzione ambientato nel Regno Unito, che vuole però parlare alle ragazze musulmane che vivono in Italia, e forse ancor di più a quelle dell’hinterland milanese, dove Rania, 40enne, vive con il marito e i quattro figli.
Un libro che parla del conflitto tra i desideri – anche carnali – di ogni adolescente e il giudizio della società e della comunità religiosa in cui vive. Perché Laila è il prototipo di una giovane donna musulmana che non si sente meno religiosa per il semplice fatto di avere rapporti sessuali prematrimoniali o di essersi innamorata di un ragazzo non musulmano (possibilità che la tradizione musulmana nega alle donne). “Laila insegna che non devi sentirti meno religioso se hai dei desideri sessuali, se vuoi sposarti con un uomo non musulmano o, mi viene da aggiungere, se sei omosessuale. La religione deve farti stare bene, non emarginarti”. E forse questo messaggio è arrivato se, dopo la pubblicazione del libro, due ragazzi gay hanno inviato alla giovane autrice del Milanese un semplice messaggio: “Quanto mi sono riconosciuto in Leila”.
Perché Islam in Love è la storia di una passione proibita. Proibita perché vietata dalla tradizione coranica che impedisce alle donne (a differenza degli uomini) di avere come marito un uomo non musulmano, così come vieta ogni rapporto prima del matrimonio. E qualche riferimento autobiografico si scorge, tra le pagine, visto che anche il marito di Rania viene da una famiglia cattolica. “Quando a 22 anni ho detto a mia mamma che mi ero innamorata di un non musulmano mi hanno risposto: Perché ci hai fatto questo?”. Una vergogna, quella percepita dai genitori dell’autrice, tale da portare la sua famiglia a tornare in Egitto per alcuni mesi, dopo che la giovane aveva confessato il suo amore per quello che sarebbe diventato suo marito. Eppure, in Egitto, è stato proprio suo nonno ad aiutarli a capire che “si deve mettere in conto che, una giovane immersa in un’altra cultura, possa innamorarsi di un non musulmano”. “Come racconta la mia vita e come ho provato a scrivere nel libro ci si deve dare la possibilità di conoscersi: oggi, mia madre adora mio marito e, se litighiamo, cerca sempre di difendere suo genero”.
Il volto di Rania Ibrahim è sempre sul punto di scoppiare in una risata mentre si racconta, anche se rompere alcuni tabù non è facile in una comunità come quella musulmana, che lei stessa definisce chiusa e troppo concentrata su se stessa. Non è facile farsi accettare come fedele quando non porti il velo, non vai in moschea e i tuoi figli non frequentano il doposcuola coranico. “L’Islam è stato rivelato 600 anni dopo il Cristianesimo. C’è ancora bisogno di tempo per secolarizzarci e diventare più aperti”. Perché, come racconta in Islam in Love, la comunità musulmana dovrebbe invertire la tendenza che la vede portare avanti tradizioni che non possono più essere accettate, soprattutto per ragazzi di seconda generazione nati e cresciuti in Paesi europei. Un processo che, però, può funzionare solo se si smette di soffiare odio contro i fedeli di Allah. E una vena di malinconia spezza il volto dell’autrice, quando inizia a raccontare di quante volte le è successo di asciugare le lacrime di suo figlio chiamato dai compagni di scuola “musulmano di merda”. Eppure Rania come Leila credono nelle nuove generazioni. “Le giovani musulmane cresciute in Italia vogliono truccarsi, sentirsi belle, innamorarsi del loro compagno di scuola, che sia musulmano o che sia buddhista. Noi mamme, dobbiamo lasciarle vivere, e non importa che seguano i precetti religiosi, l’importante è che diventino delle brave persone”.
Per alcuni fedeli della sua comunità, il suo resta un libro “sbagliato”, che dà un’immagine errata dell’Islam. “Forse perché ho dedicato alcuni capitoli a raccontare la prima volta di una giovane musulmana, il suo lasciarsi andare ai piaceri del corpo. Il fatto che Leila, pur sentendosi in colpa, non riesce a ignorare quanto l’amore carnale la faccia stare bene” e non la faccia allontanare dal suo dio. Un conflitto che viene vinto solo grazie all’amore che i due ragazzi provano l’uno verso l’altro. “Questo libro non vuole attaccare l’Islam, ma mettere punti di domanda su alcuni aspetti della tradizione musulmana. E dare coraggio a tutte quelle ragazze che cercano di rompere gli schemi. Perché ricordatevi: ci sarà sempre qualcuno che vi criticherà, sia che vi comportiate secondo la tradizione, sia che scegliate una via tutta vostra”.