Il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato nei giorni scorsi allo scrittore, nato in Giappone e naturalizzato inglese, Kazuo Ishiguro. “Se si mettono insieme Jane Austen e Franz Kafka, ecco in nuce Kazuo Ishiguro, cui però va aggiunto un po’ di Marcel Proust. Si mescola un po’ ma non troppo, ed ecco i suoi romanzi”, dice Sara Danius, segretaria permanente dell’Accademia dei Nobel. Tra le donne, la prima nella lista dei favoriti era la canadese Margaret Atwood: data 6 a 1, è una veterana delle candidature. Dal 1901 sono stati premiati 114 tra romanzieri, uomini di teatro, poeti, cantautori e anche politici come Winston Churchill. Le donne, in questi 116 anni, sono state pochissime: 14 autrici a fronte di 100 autori uomini. Una è l’italiana Grazia Deledda, nel 1926, “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”
“Le donne non sono premiate. Le donne non sono addirittura lette. Alcuni dicono: che le leggiamo a fare, sono donne che scrivono o solo cose romantiche o solo cose per donne”, chiosa la scrittrice italosomale Igiaba Scego. Ma Jane Austen “non scriveva qualcosa solo per donne: scriveva della sua società perché sapeva osservarla bene”.
“Non mi sono mai sentita discriminata in quanto autrice”, racconta Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Premio Campiello 2017. “Ma una donna scrittrice che dia luogo a una scuola, a un’influenza nel tempo: ecco, lì vedo ancora resistenze”. Di donne che fanno la letteratura “è pieno il mondo”, aggiunge Nadia Terranova, vincitrice quest’anno della XXXIII edizione del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo con il suo “Gli anni al contrario”. ” Ma non vengono riconosciute a livello istituzionale. Misteriosamente spariscono, e nei consessi si ritrovano solo uomini. E questo riguarda l’immagine del potere”.
“C’è la letteratura e la letteratura al femminile, quasi fosse una letteratura di serie b”, Anilda Ibrahimi, scrittrice albanese che vive in Italia dal 1997 e che quest’anno ha vinto il Premio Rapallo. “Eppure la trasmissione al femminile forma la società”. Il punto è “un patriarcato ancora feroce che esiste nelle sue molteplici sfaccettature, tra cui anche la denigrazione delle donne nella loro capacità di scrittura”, dice Viola Lo Moro, una delle socie di “Tuba, la libreria delle donne di Roma”. Una realtà ormai decennale che anima il quartiere del Pigneto. L’idea della libreria, dice ancora Viola, è nata da due donne illuminate, Barbara e Barbara, che sono ancora le due socie fondatrici. Ci siamo aggiunte poi noi, siamo diventate tante”. È così che è nato “un luogo per donne e non solo, uno spazio in cui le donne possono stare bene: a leggere un libro, bere un bicchiere di vino, chiacchierare, partecipare a una presentazione, parlare di sessualità, erotismo, corpo. Per noi è un progetto fortemente politico”. Un progetto che a fine settembre ha portato anche alla prima edizione di un festival di scrittrici, “Inquiete”, “un festival non di esclusione per gli scrittori ma in cui il centro del discorso sono i talenti le intelligenze, la capacità, la scrittura, le parole, i corpi delle scrittrici. Un’iniziativa partecipata e apprezzata dal quartiere, anche attraverso il coinvolgimento della biblioteca Goffredo Mameli qui sulla zona pedonale. “Roma ha bisogno di essere una città che non sia solo vetrina, immondizia, corruzione, ma che sia cultura diffusa e popolare”, dice sorridendo Igiaba.