di Maurizio Montanari*
Nella legge di riforma del codice penale approvata nel giugno 2017 si prevede l’introduzione di un nuovo articolo: il 162 ter, che recita: Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato.
In questo modo viene ampliata la portata delle condotte riparatorie che, coprendo reati perseguibili a querela soggetta a remissione, include anche lo stalking.
Non si tratta di “depenalizzare” il reato di stalking. Infatti sono escluse le ipotesi in cui il reato è stato commesso mediante minacce reiterate, violenza fisica accertata, per cui la querela non può essere cancellata.
Parliamo dunque di stalking “lieve” ( sic! ), quello soggetto a querela di parte che rientra nella dicitura dell’articolo 162 bis: Chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, tanto da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Procedere con una querela (entro 180 giorni).
Nella fattispecie, quel che rende, clinicamente, molto critica l’applicazione di un tale provvedimento è la parola del legislatore quando afferma che (…) il risarcimento in denaro può essere riconosciuto anche in seguito a offerta reale (…) formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.
Le forme di violenza psicologica che alcuni soggetti perversi e manipolatori possono infliggere alle loro vittime, in molti casi, non contemplano la violenza fisica, le minacce di morte o quelle con armi. Il soggetto perverso, e qua è la clinica a indicare la strada al legislatore, non vuole la morte della vittima. Ma ne vuole il controllo. Esercitando il quale, sostiene e nutre una personalità che, clinicamente si definisce sadica.
E’ possibile devastare la vita di una donna senza mai picchiarla o minacciarla di morte. Ma con la parola e la presenza. Si tratta di quei casi nei quali il persecutore riesce a ingenerare nella vittima uno stato di assoggettamento e possesso senza mai alzare un dito . Semplicemente con la sua immanenza, la sua costante e pervicace presenza, meccanismo che è alla base di quel contingente incombente che scaraventa la vittima in uno stato di angoscia, tale da renderla inabile alla quotidianità. La donna oggetto delle attenzioni si trova a vivere in una città nella quale lei è “parlata” dallo stalker, questo attraverso un uso sapiente e capillare di insinuazioni, diffusione ad arte di male parole, specie quando si tratta di piccoli paesi di provincia.
Seguire pedissequamente, incombere, farsi trovare presente in ogni momento della vita della vittima prescelta allo scopo di intimidirla con il solo essere corpo, si dimostra spesso un comportamento tale da instillare nella prescelta uno stato perenne di angoscia e di instabilità dell’umore tale da pregiudicarne la quotidianità, la funzione materna, la possibilità di recarsi al lavoro, di dormire. Si pensi a quei casi nei quali il persecutore si fa trovare, ogni mattina, davanti alla porta dell’ufficio nel quale la sventurata prescelta si reca. O, come mi è capitato di ascoltare, a quei soggetti che studiano meticolosamente i movimenti della donna, al solo scopo di parcheggiare sempre l’auto al fianco e dietro alla sua, facendosi vedere seduti sul cofano intenti a leggere il giornale, per un anno e oltre.
Vedere il persecutore costantemente, in giro per la città, leggere i suoi messaggi, spesso vuoti, almeno trenta volte al giorno sul telefono, trovare la sua vettura costantemente parcheggiata a fianco della propria, è la strada per un inferno che non può essere risarcito con un’offerta “formulata dall’imputato e non accettata dalla persona”. Ora, ridurre il tutto a una quantificazione monetaria, senza l’assenso della vittima, è quantomeno pericoloso.
Risarcire con una cifra (…) formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa non tiene conto della soggettività del trauma, non quantificabile con metodiche oggettive. La soggettività clinica di un trauma conseguente a persecuzione come quelli sopracitati, è spesso difficilmente sondabile anche da parte di un professionista della psiche. Dunque difficilmente può essere valutata da un giudice, per quanto altamente ferrato ed eticamante corretto, ma tecnicamante impossibilitato a immedesimarsi nella intimità di una donna resa ostaggio, la cui vita può essere segnata per un tempo ben maggiore rispetto al tempo della persecuzione.
* Psicoanalista, responsabile del centro LiberaParola