Lo scontro tra Barcellona e Madrid sul referendum per l’indipendenza della Catalogna non è solo una faccenda interna alla Spagna. Ciò che il primo ministro Mariano Rajoy e, con lui, i principali partiti europei sembrano aver sottovalutato è il possibile effetto domino che il sentimento indipendentista catalano potrebbe scatenare tra gli altri numerosi gruppi separatisti sparsi per Spagna ed Europa. Dai Paesi Baschi, la cui causa ha riempito le pagine dei giornali a partire dagli anni ’70 con gli attacchi terroristici dell’Eta, gruppo armato che solo lo scorso aprile ha annunciato il disarmo, passando per la voglia di secessione scozzese, bocciata per pochi voti al referendum del 2014 ma che sta conoscendo una nuova crescita dopo il voto sulla Brexit, l’indipendentismo fiammingo in Belgio, fino al timore di ingerenza di Mosca nella vita delle popolazioni russofone delle Repubbliche Baltiche. Un mosaico di decine di movimenti e partiti che, nell’ipotesi di una nuova rinascita dei sentimenti indipendentisti, potrebbe contribuire a sgretolare l’Unione Europea.

Spagna, patria delle divisioni interne: dai Paesi Baschi alla Galizia
La patria delle divisioni interne rimane senza ombra di dubbio la Spagna. Su tutte, quella catalana e dei Paesi Baschi. L’indipendentismo catalano ha origini antiche, ma ha conosciuto una nuova spinta separatista nell’ultimo decennio, con la crisi economica che ha accentuato il malumore della più ricca e produttiva regione spagnola, portando alla presidenza della Generalitat de Catalunya una coalizione, Junt pel Sì con a capo Carles Puigdemont, su posizioni più radicali rispetto ai precedenti governi, e a due referendum sull’indipendenza nel giro di tre anni, nel 2014 e nel 2017. La forza del governo catalano va cercata, storicamente, nello sviluppo economico della regione che, grazie anche a governi centrali che hanno governato con maggioranze risicate, è così riuscita a ottenere una ampissima autonomia culturale e politica e, in maniera meno marcata, fiscale. Una posizione, quella di Barcellona, appoggiata anche dalle popolazioni catalane nel territorio valenciano e nel Rossiglione francese.

Chi invece ha ottenuto grande autonomia fiscale grazie soprattutto alla lotta armata, anche se il governo di Madrid ha sempre negoziato con i leader della comunità autonoma, sono i Paesi Baschi. La guerriglia rappresenta ormai il passato, così come successo per i movimenti indipendentisti in Galizia, con Resistenza Galega, ma il Lendakari, il Presidente Iñigo Urkullu che si è anche proposto come mediatore tra Madrid e Barcellona, sta già pensando di avanzare nuove richieste al governo centrale per il trasferimento delle 37 competenze previste dallo Statuto d’Autonomia.

La Francia e il Fronte di Liberazione nazionale corso
L’esempio dell’Eta ha ispirato altri movimenti sparsi in Europa che hanno scelto la lotta armata come mezzo di pressione nei confronti dei governi nazionali, con risultati più o meno concreti. È il caso, ad esempio, del Fronte di Liberazione Nazionale Corso, attivo soprattutto a partire dagli anni ’70 e ’80 e che si è sciolto ufficialmente solo negli anni 2000. Oggi l’indipendentismo corso si riduce al partito Corsica Libera, che ha 8 seggi nell’Assemblea Corsa e che non è legata a movimenti armati. Ad aprile e a maggio, però, sono tornate le bombe: la prima in una sede del Crèdit Agricole di Biguglia, la seconda negli uffici del Rsi, la cassa previdenziale dei lavoratori autonomi, a Bastia.

Sempre in Francia, a nord, passando per i Paesi Baschi francesi dove opera il gruppo armato Irrintzi, e per la Provenza, dove a piazzare bombe tra il 2013 e il 2014 è stato il Fronte di Liberazione Nazionale della Provenza, si arriva in Bretagna. Qui c’ è l’Esercito Rivoluzionario Bretone che, fino al 2000, ha riscosso un buon appoggio della popolazione più nazionalista grazie anche alla sua azione che non prevedeva attacchi alle persone. Nel 2000, però, durante un attentato a un McDonald’s di Quévert, ha perso la vita un commesso. Azione che farà crollare i consensi intorno al movimento armato.

Italia, aspirazioni indipendentiste dalla Sardegna all’Alto Adige
Esempi di gruppi armati italiani, alcuni ormai scomparsi, si trovano in Sardegna, con il Movimento Armato Sardo, sospettato di aver collaborato anche con l’Anonima Sequestri per alcuni rapimenti e uccisioni, il Fronte Nazionale de Liberazione de sa Sardigna e il Movimento Nazionalista Sardu. Il soggettopiù importante del movimento indipendentista isolano rimane il Partito Sardo d’Azione che fino al 1996 ha ottenuto seggi in Parlamento. Tralasciando l’esperienza dei due tank dei “Serenissimi” veneti, il primo arrivato fino a piazza San Marco nel 1997 e il secondo sequestrato nel 2014 dalle forze di sicurezza italiane, una stagione di violenza l’ha vissuta il movimento separatista tirolese. L’organizzazione Bas chiedeva la scissione dell’Alto Adige e l’annessione all’Austria. Per ottenerla, tra gli anni ’60 e ’90, i suoi membri hanno scelto la lotta armata.

In Belgio e Scozia indipendentisti al governo
Ma l’unico movimento armato di livello almeno equiparabile a quello basco è l’Irish Republican Army (Ira) attivo nell’Irlanda Unita fin dagli inizi del ‘900 e, oggi, con membri ancora operativi in Irlanda del Nord, dove la sua espressione politica, il Sinn Féin, ha ottenuto il 30% dei consensi e 27 seggi in Parlamento alle ultime elezioni, appena una poltrona in meno del Partito Unionista. Il Sinn Féin, che ha seggi anche nel parlamento irlandese, insegue l’indipendenza dal Regno Unito e la riunificazione dell’Irlanda.

Ci sono Paesi, però, dove l’indipendentismo è al governo, come in Belgio e in Scozia. Nel Parlamento di Bruxelles si incontrano una miriade di gruppi con diverse posizioni politiche, dai più estremisti ai moderati, ma che condividono l’aspirazione indipendentista o secessionista. Ci sono i Valloni del Walloon Rally e del Rwf, ma i partiti con più seguito sono di estrazione fiamminga, come il Vlaams Belang, il Vlaamse Volksbeweiging o Ldd, tutti di diversa estrazione. Ma il più importante, oggi al governo, è l’Alleanza neo-fiamminga (N-Va) che ha vinto le ultime elezioni con oltre il 20% dei consensi e punta a una secessione graduale e pacifica delle Fiandre dal Belgio francofono.

Anche in Scozia, il più importante Paese della cosiddetta Lega Celtica, che comprende anche Irlanda, Galles, Bretagna, Cornovaglia e Isola di Man, la causa indipendentista ha raggiunto le poltrone dell’esecutivo. Dal 2007 il Partito Nazionalista è a capo del governo e durante il mandato dell’ex Premier, Alex Salmond, sono state avviate le trattative per il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito tenutosi nel 2014 e vinto dagli unionisti con il 55% dei voti. Il sentimento indipendentista, però, non si è placato e ha conosciuto nuova spinta dopo il referendum sulla Brexit. La maggioranza degli scozzesi, circa il 60%, ha votato per il Remain, ma il voto delle altre aree del Regno Unito ha sancito l’uscita della Gb dall’Unione Europea. Per questo il nuovo primo ministro, Nicola Sturgeon, ha annunciato di voler indire un nuovo referendum sull’indipendenza, non prima, però, di aver visto concludersi il processo di uscita della Gb dall’Ue.

La Lega Nord da secessionista al referendum simbolico
Se l’unico movimento secessionista che abbia mai raggiunto risultati degni di nota in Italia, la Lega Nord, ha ormai abbandonato le posizioni separatiste, nella Penisola sopravvivono partiti e movimenti minoritari in Friuli Venezia-Giulia, Veneto e Lombardia, dove a ottobre si terrà un referendum simbolico sull’indipendenza.

Chi, invece, teme la nascita di movimenti separatisti, soprattutto dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca, sono Estonia, Lettonia e Lituania. In questi piccoli Stati all’estremo est dell’Unione Europea vive una folta minoranza russofona che è concentrata intorno ai confini orientali. La tensione che si è venuta a creare tra Russia e blocco Nato nel Baltico non facilita la gestione della situazione e il pericolo di un’ingerenza di Mosca impensierisce i governi delle tre Repubbliche.

Twitter: @GianniRosini

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