Riccardo Pizzorno per @SpazioEconomia
Avvicinandosi la fine dell’anno, con la redazione della nota di aggiornamento del Def, ritorna sui giornali la questione (a volte sopita) del debito pubblico italiano e delle sue dinamiche.
Per la dottrina, il debito pubblico è la risultante cumulativa dei prestiti (al netto dei rimborsi) che lo Stato e gli altri Enti che appartengono al settore pubblico contraggono periodicamente per far fronte ai saldi negativi di Bilancio. Parliamo del famoso deficit e del suo rapporto con il Pil della Nazione, vigilato dall’Europa con attenzione estrema.
La Banca d’Italia, nel bollettino mensile sulla finanza pubblica, ci fa sapere che il debito pubblico ha segnato un nuovo record. A luglio è aumentato di 18,6 miliardi rispetto al mese precedente (+1,9%), raggiungendo quota 2.300 miliardi.
Negli ultimi anni si è un po’ ridotto il trend di crescita, e si è passati da un aumento di 80 miliardi di euro circa all’anno a un aumento di circa 40. Però nei primi 6 mesi del 2017 l’aumento è stato di 63 miliardi, 10,5 miliardi al mese, crescita storica che pur essendo influenzata da effetti di stagionalità è sempre in forte crescita.
La variazione in termini assoluti è importante, così come lo è quella al netto delle disponibilità liquide del Tesoro. Queste sono le riserve tenute da parte per qualunque emergenza e, in termini contabili, fanno salire il debito lordo perché il governo genera questa cassa emettendo titoli. L’anno scorso in Italia le riserve liquide erano di 42 miliardi, per fronteggiare qualunque problema dopo il referendum costituzionale. Nel mese di luglio sono aumentate, mentre è pensabile che verso la fine di quest’anno caleranno (serve un maquillage al bilancio), anche se è probabile che poi risalgano subito all’inizio del 2018 per le elezioni politiche.
Le dinamiche di crescita del debito pubblico riflettono diversi fattori. Abbiamo già accennato alle variazioni delle disponibilità di cassa del Tesoro. Parliamo anche delle entrate e delle uscite dello Stato, le quali sono responsabili con la loro differenza dell’aumento (o di una chimerica diminuzione) e sono influenzate da fattori di ciclo economico, le prime, e da politiche di spesa, a volte obbligate altre volte destinate alla raccolta di consenso politico, le seconde. In Italia, questa ultima causa è la più perniciosa e irrefrenabile.
Un altro elemento che incide sullo stock di debito è la variazione dell’indice dei prezzi. Poiché il debito si misura in proporzione alla taglia di un’economia calcolata in quantità di euro, un’inflazione vicina a zero può indebolire questo parametro anche se la crescita riparte. Viceversa, un’inflazione almeno del 2% (auspicata dalla Bce), farebbe diminuire proporzionalmente il “valore” del debito pubblico, agevolandone il rimborso.
Il debito pubblico dell’Italia lievita automaticamente del 3% circa all’anno solo per effetto degli interessi, mentre l’economia che lo deve sostenere si dilata più lentamente: 1,5% di crescita reale più un effetto prezzi all’1,1% dà nel 2017 un aumento dell’economia al 2,6% Di qui l’inerzia negativa fra debito e Pil.
Un altro aspetto importante da rilevare nell’analisi del debito pubblico riguarda la nazionalità dei suoi detentori.
Gli acquirenti di Bot e Cct sono divisi in tre categorie: il settore finanziario interno, sostanzialmente banche e assicurazioni, poi il settore non finanziario interno, ovvero le famiglie, e, infine, il “resto del mondo”, cioè le grandi banche internazionali così come i fondi pensione esteri o i gestori di patrimoni.
Dalla tabella di cui sopra vediamo come il debito pubblico italiano sia detenuto per la grande maggioranza (62%) da soggetti nazionali. Siamo in controtendenza rispetto alle principali nazioni, dove i titoli di Stato vengono acquistati da grandi soggetti internazionali, e questo si deve alla cronica insicurezza della situazione politica nazionale. E’ di fine Maggio un downgrade di Pimco del debito Italiano, espressamente dovuto all’instabilità percepita, che ha causato ancora maggiori ritiri dalle posizioni creditorie nei nostri confronti da parte degli Investitori istituzionali.
Ultimo aspetto che vorremmo ricordare è la durata residua del debito pubblico. La cosiddetta duration è la media ponderata della vita residua dell’insieme di tutti i titoli di Stato emessi. Ovvero, in termini meno tecnici, quanto manca in media alla scadenza dei titoli, al momento in cui lo Stato dovrà restituire questo credito che gli è stato accordato
Una duration maggiore conferisce più sicurezza, soprattutto se si parla di tassi fissi, e un risparmio certo quando, come in questi ultimi anni, i tassi sono diminuiti grandemente. E infatti la strategia italiana è consistita nell’effettuare emissioni di titoli in modo tale da aumentarla.
Naturalmente, per poter convincere i creditori a prestare denaro a così lungo termine (anche 30 anni nel caso dei Btp di più lunga durata), c’è bisogno di un capitale, spesso scarso in economia, e in particolare negli ultimi anni di crisi e stagnazione italiana: la fiducia. Che in questo mondo si misura anche in tassi di interesse o in differenza tra i nostri tassi di interesse e per esempio quelli tedeschi, il famoso “spread”.