di Pia Starace
Sarà una coincidenza ma da quando Antonio Decaro è presidente Anci, Bari è diventata un cantiere “diffuso”. Sarà pure una coincidenza che, nell’ottica renziana, di cui il sindaco di Bari è interprete autentico, il nuovo è meglio solo in quanto nuovo. Cantieri sorgono come funghi, in ogni dove, contemporaneamente: lavori nel centro murattiano, lavori nel quartiere di San Girolamo, lavori nella Città Vecchia, lavori nella piazza antistante il Castello Svevo, lavori al quartiere Japigia, lavori per allargare i marciapiedi, asfalto dissestato, impalcature che imbracano palazzi enormi occupando i già angusti marciapiedi.
E intanto ci informano di imminenti progetti di rifacimento del lungomare sia in direzione Sud che in direzione Nord, e di progetti di allargamento di un arteria importantissima di accesso alla città; e ci propinano sui giornali on line, rendering di paradisiaci luoghi di civiltà e progresso che raffigurano la città del futuro. Tuttavia, di fatto, vivere in questo caos senza precedenti, dove la sporcizia, il degrado, l’inquinamento acustico, il traffico convulso, i pericoli di inciampare in buche e dossi hanno peggiorato pesantemente la qualità della vita, è diventato un inferno.
Questi interventi sono partiti uno a ridosso dell’altro, in modo scriteriato, senza che si riesca a intravedere un disegno complessivo del vantato ammodernamento, senza che si possa dunque verificare l’osservanza di un piano urbanistico, senza che si conosca per ogni intervento il motivo che ne ha determinato l’urgenza a dispetto di molti altri luoghi che attendono da tanto tempo un recupero, una riqualificazione, un ritorno alla fruibilità.
Ciò denota un caos prima di tutto mentale dell’amministrazione, irrispettosa delle volontà dei cittadini, neppure minimamente ascoltati nelle loro seppur forti rimostranze. La smania di proporsi come città del fare, a tutti i costi, per poter sbandierare a fine incarico l’elenco delle opere compiute e rivendicarne la paternità al nuovo giro elettorale, non solo concretizza gli estremi di una mancanza di rispetto verso la cittadinanza, ma sta anche producendo degli obbrobri. Proprio il restyling della principale via pedonale del commercio barese, la più centrale e vitale della città, dove storicamente si riversa la maggiore concentrazione dei cittadini per lo shopping più chic, il salotto buono, è l’emblema dell’ottusità del nuovo, urgente ma inutile.
Giorno dopo giorno sta venendo alla luce la sua “rifatta” bruttezza grigia: brutta la concezione di ciascun isolato, brutta la pavimentazione, brutte le panchine (Decaro lo ha pure detto pubblicamente), brutta la ineleganza e lo squallore delle scelte architettoniche. Di recente è sbucata una scalinata nell’isolato centrale della via, davanti al sagrato di una chiesa, della quale nel progetto iniziale non vi era alcuna traccia.
Sicché addirittura ora è giallo su chi, come e perché essa sia sorta lì, dove peraltro il suo impatto visivo è molto controverso. Insomma, davanti a una foto della città anche solo di due anni fa, i baresi ora piangono di nostalgia. Allora, cari amministratori, spiegateci perché vi accanite con le operazioni estetiche di lifting di alcune zone del tessuto urbano, spesso deturpandole, procurando enorme disagio alla cittadinanza, mentre lasciate perire luoghi nevralgici, più “fragili”, che andrebbero prioritariamente “rammendati”, riqualificati, consolidati, o trasformati, con interventi meno costosi e più partecipati dai cittadini (Renzo Piano docet), guidati dal solo nobile scopo istituzionale di garantire una vivibilità sostenibile. In termini di qualità della vita, di attrazione turistica, e anche di consenso elettorale, ne deriverebbe senza dubbio un guadagno considerevole.
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