Lo scorso 17 luglio i giudici di Milano hanno condannato all'ergastolo Rocco Schirripa accusato dell'omicidio del procuratore capo di Torino, oggi i magistrati hanno depositato le motivazioni della sentenza
Lo scorso 17 luglio il verdetto di fine pena mai per Rocco Schirripa accusato dell’omicidio del magistrato Bruno Caccia, oggi i giudici hanno depositato le motivazioni della sentenza. La lettera anonima inviata da inquirenti e investigatori e le conseguenti conversazioni intercettate sono “l’elemento di prova decisivo” a carico dell’imputato secondo i magistrati di Milano. Per le toghe della corte d’Assise di Milano, presiedute da Ilio Mannucci Pacini, il panettiere di origine calabrese è responsabile del delitto del procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia (nella foto) ucciso con quattro colpi di pistola la sera del 26 giugno 1983, mentre portava a spasso il cane sotto casa. A 34 anni dalla sua morte è arrivata la sentenza di ergastolo.
La missiva, come si legge nel provvedimento, fu inviata alla fine di agosto del 2015 “per dare impulso alle indagini” dalla Questura di Torino e in accordo con il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il pm Marcello Tatangelo, a Domenico Belfiore, già condannato all’ergastolo per il delitto. “Le conversazioni intercettate a seguito della scarcerazione per motivi di salute di Belfiore – scrivono i giudici – e dopo l’invio della lettera anonima che indicava lo stesso e Rocco Schirripa come esecutori materiali dell’omicidio del dott. Caccia, Placido Barresi e Giuseppe Belfiore come mandanti, rappresentano l’elemento di prova decisivo a carico dell’imputato, riscontrato da un insieme di circostanze che confermano che quei dialoghi hanno come unica spiegazione la sua partecipazione al delitto”.
Secondo la Corte, “il significato dei dialoghi tra Domenico Belfiore, Placido Barresi e Rocco Schirripa è emerso in modo chiaro e inconfutabile, attesa la qualità della registrazione, la chiarezza delle affermazioni rese dagli interlocutori, la serietà degli stessi nell’affrontare l’argomento, la ripetuta e coerente manifestazione di preoccupazione per la lettera anonima e, in particolare, per quel ‘nome in più’ (il nome dell’imputato) che era stato indicato nella lettera”. E poi, “in nessun modo in queste conversazioni è stata contestata la falsità dell’indicazione del nome di Schirripa come esecutore dell’omicidio”.