Le motivazioni della sentenza pronunciata il 7 luglio scorso dalla V sezione della Corte di Assise di Napoli sono racchiuse in 186 pagine che ripercorrono minuziosamente le varie fasi delle indagini, ostacolate non poco dal clima di omertà
Una indagine condizionata dal ”clima di assoluto controllo e manipolazioni delle dichiarazioni” imposto dai familiari alla bambina che aveva assistito all’uccisione della sua amichetta. Una omertà che però si è sbriciolata quando la piccola, insieme con le sorelline, è stata allontanata dal contesto familiare e trasferita in una casa famiglia dove ha confidato il segreto che custodiva alle operatrici, agli psicologi e ai magistrati. Quando i pm chiedere il fine pena mai per l’imputato ai giudici dissero che la condanna avrebbe insegnato che l’omertà non serve.
La testimonianza della amica del cuore, che raccontò agli inquirenti di aver visto lanciare nel vuoto la piccola Fortuna, da tutti conosciuta con il soprannome di Chicca, nel parco Verde di Caivano (Napoli) il 24 giugno 2014, è uno degli argomenti centrali delle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Raimondo Caputo, detto Titò, e a 10 anni della ex compagna Marianna Fabozzi, riconosciuta responsabile di concorso negli abusi sessuali commessi da Titò, ”privo di qualsiasi senso morale”, su altre tre bimbe.
Le motivazioni della sentenza pronunciata il 7 luglio scorso dalla V sezione della Corte di Assise di Napoli, presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere e relatore Anna Elisa De Tollis, sono racchiuse in 186 pagine che ripercorrono minuziosamente le varie fasi delle indagini, ostacolate non poco dal clima di omertà denunciato dai giudici, ed esaminano tutti gli elementi che hanno portato la Corte ad infliggere il massimo della pena all’uomo che avrebbe spinto nel vuoto Chicca perché si era ribellata, secondo la ricostruzione dei magistrati, al tentativo di violenza, l’ennesima messa in atto sulla piccola di appena sei anni.
Titò viene classificato come un “sex offender”, che abusava di Chicca e di altre bimbe dell’edificio al Parco Verde di Caivano, coperto dalla Fabozzi, che pur al corrente delle ripetute violenze avvenute anche davanti ai suoi occhi, non avrebbe mai denunciato quell’orrore. Nella sentenza è riportata la frase liberatoria affidata dalla amichetta-testimone al suo diario dopo aver raccontato di aver visto Titò sul terrazzo che tentata di violentare Chicca: “Finalmente ho detto tutta la verità, sono felice ora, mi sento più tranquilla e felice. Quello deve pagare per quello che ha fatto”. Per la Corte di Assise, che confuta i tentativi di crearsi un alibi da parte dell’imputato, il processo “ha fornito elementi plurimi e convincenti per affermare che il giorno dei fatti Raimondo Caputo, nella deliberata esecuzione di un atto di predazione sessuale ai danni di Fortuna, l’ha portata con sé sul terrazzo all’ottavo piano ed è rimasto con lei fino al momento della precipitazione”.