Gli ebrei lo avevano capito. Il valore creativo della parola, intendo. Popolo di grande cultura, costruiscono un sistema mitologico basato sulla potenza del “dire”. Basta leggere la Genesi per rendersene conto. Dio crea – in greco ποιέω, “poiéo” – il mondo dicendo. “Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu”, (Gn 1, 3). In questo modo generò tutte le creature. E così pure l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. Dove quella similarità sta tutta nella capacità che abbiamo di parlare. E grazie alla parola, “l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche” (Gn 2, 20).
Ho ritenuto necessaria questa premessa non certo perché avverto il fascino del messaggio religioso – chi ben mi conosce sa che amo dire che ho il dono di non possedere la fede – ma perché i miti nascondono grandi verità che sfuggivano all’ingenuità degli antichi. I saggi dei tempi lontani, perciò, trovavano in un linguaggio semplice e immediato il modo di trasmettere una forma di conoscenza e di verità. E la verità di quel mito è che attraverso la facoltà del narrare (e di narrarci), noi costruiamo la percezione di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Oggi, 11 ottobre, è il Coming out day, o Giornata internazionale del Coming out. In questa data, infatti, le persone Lgbt celebrano il loro disvelarsi. Il confine, nettissimo, tra ciò che eravamo e ciò che – dopo aver ammesso a noi stessi e a chi ci circonda chi siamo davvero – siamo.
Mi piace portare a esempio due immagini. Quella del seme, che deve marcire in mezzo alla terra prima di produrre i suoi fiori, innanzi tutto. E quel vecchio detto zen, per cui ciò che per il bruco è la fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. Per noi persone Lgbt è così. All’inizio veniamo avvolte in una sorta di buio (la terra che copre il seme, la seta che avvolge il bruco). Ma poi il destino che siamo chiamate a vivere, è ben diverso. La differenza la fa, appunto, il dirsi. Il dire chi siamo. “Creare”, in una parola soltanto, il mondo (e con esso la vita) che ci è stato promesso.
Ovviamente – e purtroppo, aggiungo – non è sempre stato così. Per secoli, la condizione di forza dell’omofobia si è basata sul fatto che gay e lesbiche non potessero dichiararsi. A raccontarci c’erano quelli della parte avversa. Basti pensare a ciò che succede in Russia. Se una persona rivela pubblicamente la sua omosessualità, questa dichiarazione viene bollata come “propaganda”. Subito dopo arriva la censura dei tribunali. Basti vedere, ancora, cosa sta succedendo nelle scuole italiane: poter dire che esistono gay, lesbiche, trans, ecc., e che queste persone possono essere degne di affetto, che hanno (abbiamo) il diritto di farsi una famiglia è osteggiato da movimenti omofobi, vicini alla chiesa cattolica o ad essa riconducibili, che bollano il tutto come “ideologia”, termine che dopo la caduta del muro ha assunto connotazione spregiativa. Di fronte alla verità del nostro essere, si pretende il silenzio. E quando il silenzio non è possibile, si cambia strategia. Come?
Le armi degli omofobi sono state per secoli la maldicenza e la menzogna. Dire male di noi e dire il falso su di noi è il fertile terreno in cui il pregiudizio ha avuto gioco facile. Di volta in volta siamo stati “un pericolo per l’umanità”, untori, distruttori della famiglia (almeno fino a quando non è arrivato il meteorite di una nota marca di merendine) e via discorrendo. Ciò ha avuto fine – anche se il processo è ancora in corso – nel momento in cui noi, persone Lgbt, abbiamo rotto il silenzio. Nel momento in cui non abbiamo permesso agli altri di essere narrati con le loro logiche. Con il loro odio e, se mi passate il termine, con la loro stupidità.
Per questa ragione è importante dirsi. È importante raccontare se stessi/e. Dicendo ciò che siamo, poniamo le condizioni affinché la nostra vita sia come la vogliamo. La creiamo, appunto. E se pensiamo alla parola greca per indicare l’atto creativo – ποιέω, appunto – vedremo che è la stessa che fa da radice a un altro termine: poesia. Attraverso la narrazione di chi siamo, possiamo creare un nostro mondo poetico in alternativa al racconto “horror” che qualcun altro voleva per noi. Per tale motivo non dobbiamo permettere mai a nessuno di “dire” chi siamo, cosa siamo e cosa dobbiamo fare della nostra vita in nome del nostro essere. Per questa ragione dobbiamo sempre scegliere di essere liberi/e, costi quel che costi.
#ComingOutDay #11ottobre