Capitoli

  1. Crisi d’impresa, salta la riforma della amministrazione straordinaria. ‘Comanda il ministero, pagano i contribuenti’
  2. La reticenza del ministero su costi e risultati dei commissariamenti
  3. Il tentativo fallito: meno potere al ministro, giudizio del tribunale sul piano 
  4. Più tutele per i creditori e fuori le aziende non strategiche
  5. Il nodo degli incarichi multipli e dei compensi dei commissari
  6. "Operazione trasparenza" di Calenda. Ma è una foglia di fico
Lobby

Crisi d’impresa, salta la riforma della amministrazione straordinaria. ‘Comanda il ministero, pagano i contribuenti’

Il ddl che rivede le norme sulle procedure di insolvenza ha perso il pezzo sulle grandi aziende. Che continueranno a essere gestire da uno o più commissari nominati dal titolare dello Sviluppo. "Un sistema unico al mondo e inefficiente", spiega un membro della commissione incaricata di scrivere il testo. "Ma consente alla politica di prospettare continuità aziendale e decidere le nomine. I costi ricadono sulla collettività". Vedi Alitalia

Togliere alla politica le leve di gestione dei grandi gruppi in stato di insolvenza, da Alitalia all’Ilva alla Lucchini? Non se ne parla. Il disegno di legge delega “per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, approvato mercoledì 11 ottobre dal Senato, ha perso proprio il pezzo che riguardava l’amministrazione straordinaria. Che continuerà a essere gestita da un commissario nominato dal ministero dello Sviluppo, sulla base di un piano varato senza chiedere il parere dei creditori e la cui attuazione è controllata dallo stesso dicastero di via Veneto. Che sceglie pure il comitato di sorveglianza. “Un sistema che non esiste in nessun altro Paese al mondo e che nel 99% dei casi è sfociato in un insuccesso: non è stata garantita la continuità aziendale e l’impresa è stata venduta a pezzi”, racconta Massimo Ferro, consigliere di Cassazione che ha fatto parte della commissione Rordorf incaricata nel 2015 dal ministro della Giustizia Andrea Orlando di mettere a punto il ddl. “In più la procedura genera costi che ricadono sulla collettività. Ma questo avviene anni dopo. Quel che interessa alla politica è bloccare le proteste sociali quando la crisi deflagra, promettendo continuità aziendale e salvaguardia dell’occupazione. E gestire le nomine dei commissari”.