Musica

Giovanni Allevi, definirlo ‘prodigio della musica classica’ è un equivoco

Di esagerazioni e totali inesattezze terminologiche la nostra epoca fa gran sfoggio, e gli esempi in tal senso potrebbero essere tali e tanti da non saper minimamente da dove cominciare: dando, a puro titolo esemplificativo, del genio a chiunque sia semplicemente, normalmente bravo a fare qualcosa, di colpo non avremo più termini e aggettivi per indicare i geni veri, quelli cioè meritevoli di essere ampiamente studiati e approfonditi. Sempre a titolo esemplificativo, potremmo prendere in esame l’ultimo video che promuove il nuovo tour di Giovanni Allevi, il pianista pop che tanto, in un senso o nell’altro, negli ultimi quindici anni ha fatto parlare di sé. Dovremo perciò concentrarci sulle esatte parole che, nello spot in questione, vengono utilizzate per definire la figura del musicista ascolano, e cioè “Prodigio della musica classica contemporanea”. È insolito infatti dover riscontrare in così pochi termini, sapientemente assemblati fra loro, ben tre inesattezze terminologiche di ampia portata, tali da meritare un commento.

Andiamo per gradi, partiamo dal principio: cosa vuol significare la parola “prodigio”? Il dizionario online Treccani non ha dubbi: “Fatto, fenomeno, avvenimento che trascende, o sembra trascendere, l’ordine naturale delle cose (…) fatto o evento che abbia in sé del meraviglioso, dell’incredibile, del miracoloso”. Con l’inequivocabile definizione semantica della Treccani sembra concordare quella del dizionario online Garzanti, che definisce prodigio un “fatto, fenomeno che esce dal corso ordinario delle cose naturali”. Insomma, non si scappa: il prodigio è quel dato fenomeno in grado di trascendere persino il concetto stesso di eccellenza, essendo la stessa inserita in quell’ordine naturale delle cose a cui fanno esplicito riferimento entrambi i summenzionati dizionari.

Ci viene dunque da rivolgere il nostro pensiero, parlando di prodigio e restando volutamente in ambito musicale, a personaggi del calibro di W. A. Mozart (che stando ai racconti ufficiali, seppur suscettibili di revisionismi vari, già a pochissimi anni di vita realizzava le sue prime composizioni), a L. V. Beethoven, che da sordo scrisse alcune tra le sue più grandi e celebri opere, a Gioachino Rossini, in grado di arrivare a produrre (sebbene per il tramite di imprestiti vari, ma sempre e solo da propri e non altrui precedenti lavori) anche sette opere liriche in un solo anno (ognuna delle quali, per chi non ne avesse contezza, consistente in diverse ore di musica).

La lista, ovviamente, potrebbe proseguire, ma non per molto: i prodigi veri, infatti, sono merce rara, e venderli un tanto al chilo non fa che aumentare un senso di confusione già alquanto sviluppato. Se qualcuno poi potesse obiettare che il termine “prodigio” sia da riferirsi, nel caso di Allevi, a eventuali doti pianistiche veramente fuori dal comune, invitiamo allora a fare la conoscenza di alcuni tra i più grandi fenomeni pianistici del Novecento e oltre, laddove nomi come Glenn Gould o Keith Jarrett basterebbero a gettare un’ombra tanto grande da non consentire al nostro alcuna velleità.

Ma andiamo oltre. Subito dopo l’improprio uso del termine “prodigio”, si assiste all’ancora più scorretto utilizzo delle parole “musica classica contemporanea”. Se infatti è quasi banale osservare come la produzione di Allevi non sia minimamente ascrivibile all’ambito della musica classica, trattandosi per lo più di pop suonato al pianoforte e/o con l’aggiunta dell’orchestra, occorre qui fare un paio di ulteriori precisazioni. Per quanto il termine “classica” sia per lo più comunemente utilizzato a indicare, impropriamente e in modo del tutto indiscriminato, tutta la produzione colta dei secoli passati, le definizioni “musica classica” e “musica contemporanea” si riferiscono infatti a precisi ambiti produttivi musicali, entrambi collocabili in precisi momenti storici e ascrivibili a determinati autori/compositori: perché dunque appiccicare, in modo del tutto arbitrario, tali definizioni a un tipo di produzione che niente ha a che vedere, da un punto di vista stilistico, linguistico e dunque compositivo, con quelle proprie della musica classica e contemporanea? Semplice, per squisite questioni d’ordine commerciale e iconografico.

Differente, e non poco, sarebbe infatti vendere la produzione musicale di Allevi per quello che è, e cioè, come spiegavo sopra e in modo più approfondito in un precedente post, musica pop scritta e suonata prevalentemente al pianoforte. Non stiamo quindi a discutere, in questa sede, della qualità insita nella produzione musicale di Giovanni Allevi, al quale auguriamo ancora tanto successo, ma delle tecniche di marketing che infiocchettano la stessa, colpevoli, come da disamina, di creare non poca confusione semantica intorno alla stessa.