Sono stati riunificati dal giudice dell’udienza preliminare di Arezzo, Giampiero Borraccia, i tre filoni della bancarotta di Banca Etruria, aggiornando al 2 novembre una nuova udienza per l’ammissione delle parti civili in tutto circa 2.500, tra le quali le richieste dei comuni di Arezzo e di Castiglion Fiorentino (Arezzo) e del liquidatore Giuseppe Santoni, che ha inoltre citato in sede civile gli ex amministratori. Venti gli imputati accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice. Il processo è a carico di ex amministratori, componenti del collegio sindacale, componenti del comitato crediti e direttori generali dell’istituto.
Tra i venti per cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, figurano gli ex presidenti di Banca Etruria Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi, l’ex direttore generale Luca Bronchi, diversi ex consiglieri d’amministrazione e gli ex vicepresidenti Natalino Guerrini, Giovanni Inghirami e Alfredo Berni, con quest’ultimo accusato di reati relativi al tempo in cui era direttore generale, prima del 2008. Tra gli indagati di questi filoni non c’è il padre della sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, Pierluigi Boschi, che rivestì la carica di vicepresidente di Banca Etruria nell’ultimo cda prima del commissariamento. L’unico capo d’accusa che lo riguarda è quello relativo alla liquidazione dell’ex direttore generale Bronchi.
Davanti al palazzo di Giustizia c’è stato un presidio di un piccolo gruppo di ex obbligazionisti ed ex azionisti, riuniti nell’Associazione Vittime del SalvaBanche. I manifestanti hanno sfilato con cartelli e scandito slogan chiedendo giustizia. Una scena che i giornalisti hanno potuto guardare solo da lontano perché i cronisti sono stati confinati “al di fuori del perimetro del Tribunale. Non solo a distanza dal luogo dell’udienza, ma anche separati e lontani dal luogo nel quale i risparmiatori truffati possono manifestare”. L’Ordine dei giornalisti della Toscana, coglie l’occasione per rilevare ancora una volta, si legge nella nota, “quanto le disposizioni del codice di procedura penale siano anacronistiche e penalizzanti per i cittadini, visto che i giornalisti sono tenuti a distanza dai fatti che devono raccontare. Impedire all’informazione di svolgere il proprio dovere in modo compiuto è il peggior modo per garantire oggettività e trasparenza”. Per questo, conclude la nota a firma del presidente Carlo Bartoli, l’Ordine dei giornalisti della Toscana invita il presidente del Tribunale di Arezzo “a considerare l’opportunità di una diversa collocazione per i giornalisti che svolgono un servizio per la collettività e che devono dar conto all’opinione pubblica di una vicenda così rilevante, ma anche complessa”.