La sorprendente ricostruzione della concessione di un prestito milionario a un'azienda riconducibile al consigliere di amministrazione (poi presidente) dell'istituto. In pratica, notavano gli stessi bancari, l'unico punto di forza del debitore era la "validità dei Soci". Che non è bastata a far rientrare i soldi
Prestare 4,8 milioni di euro a una società che ancora non esiste, per consentirle di costruire un centro commerciale anche se non ha ancora la licenza. Banca Etruria ha fatto anche questo. Lo si legge nelle 138 pagine con cui il liquidatore dell’istituto toscano, Giuseppe Santoni, ha promosso l’azione di responsabilità da 576 milioni di danni nei confronti degli ex vertici della banca aretina. Il caso, benché piuttosto illuminate, è solo uno dei dettagliati esempi delle scelte gestionali all’origine del tracollo dell’istituto.
Il finanziamento è datato ottobre 2008, quando la crisi finanziaria era ormai conclamata visto che il fallimento di Lehman Brothers è del 15 settembre dello stesso anno. La situazione non impedisce a Banca Etruria di erogare quasi 5 milioni alla Città Sant’Angelo Sviluppo, società nata per costruire un complesso di attività commerciali complementari alla moda in vendita presso l’adiacente Outlet Village di Città Sant’Angelo. Ma non è per questo, o solo per questo, che le date sono importanti. Il liquidatore lo evidenzia molto chiaramente: la società viene costituita il primo ottobre 2008 con l’obiettivo di acquistare terreni agricoli da destinare, previo mutamento di destinazione urbanistica, alla costruzione dell’outlet; il 20 ottobre viene aperta una pratica di fido presso la filiale Etruria di Pescara e già dal 22 ottobre Città Sant’Angelo Sviluppo può contare su un affidamento di 4,83 milioni, per una linea su conto corrente garantito da
ipoteca deliberato dal cda dell’istituto. A fare il miracolo, tuttavia, non è soltanto la rapidità dell’istruttoria, ma anche quella della richiesta che risale addirittura a un mese prima della costituzione della società. La lettera è infatti datata primo settembre 2008 e porta una firma dal prevedibile effetto leva: quella di Lorenzo Rosi.
L’ultimo presidente di banca Etruria, nonché memorabile e longevo amministratore della cooperativa Castelnuovese, all’epoca era consigliere di amministratore dell’istituto. Incarico che ricopriva anche per la postulante Città Sant’Angelo Sviluppo, in tandem con Stefano Imovilli. Il primo settembre 2008, però, nessuno dei due aveva titolo per richiedere il finanziamento: se la società ancora non esisteva come potevano esisterne gli amministratori? Il miracolo non finisce qui. Anzi. Il mandato a richiedere il finanziamento viene conferito ai due amministratori dal cda della società (quindi dagli stessi Rosi e Imovilli) ben tre mesi dopo, il 9 febbraio 2009. A documentarlo è un verbale della riunione citato dal liquidatore che sottolinea come sia soltanto in quell’occasione che il cda “dava ampio e completo mandato ai due consiglieri di amministrazione i sigg.ri Stefano Imovilli e Lorenzo Rosi, disgiuntamente tra loro, di stipulare con BPEL la linea di credito in realtà già ottenuta più di tre mesi prima da Rosi (sprovvisto ovviamente dei poteri in quanto la Società non era ancora costituita)”.
All’incoerenza delle date, poi si aggiunge quella dei prezzi e, in particolare, dell’effettivo valore del bene da ipotecare a garanzia del prestito: “La perizia sul terreno oggetto di iscrizione ipotecaria non è stata asseverata, è stata redatta successivamente all’apertura della posizione (e precisamente in data 14 gennaio 2009) non da un fiduciario della BPEL e comunque si riferisce ad un valore del fondo oggetto di ipoteca inferiore alla linea di credito autorizzata”. In soldoni, il terreno in questione è stato valutato dallo stimatore 3,62 milioni, mentre il prestito richiesto a Etruria era di 4,8 milioni. E ancora: “La linea di credito è stata concessa per una percentuale superiore all’8O% del valore della perizia sul cespite e quindi in mancanza del requisito della fondiarietà”, nota il liquidatore tratteggiando i confini di un’impresa che ha davvero del miracoloso, come ben sa chiunque abbia cercato di farsi fare un mutuo per comprare casa. Tanto più che “nonostante la delibera del c.d.a. BPEL del 22 ottobre 2008 non autorizzasse l’immediata messa a disposizione dei fondi, in data 16 febbraio 2009 sono stati effettuati girofondi sul c/ c intestato a Città Sant’Angelo Sviluppo s.p.a. per complessivi € 3.218.870,00, somme con cui è stato acquistato in pari data il terreno”. Non solo. “Al momento della istruttoria della pratica di fido – si legge ancora nella richiesta danni – non è stata acquisita l’informativa dettagliata sull’attività della società affidata, sui soci, sul budget, sul business plan, sui piani economico finanziari, né sono state richieste visure ipotecarie e catastali”. Nulla di nulla.
E non è ancora finita. Al contrario, il dolce è alla fine. Sta tutto in un dettaglio che per l’atto di citazione è decisivo “per comprendere il fallimento annunciato dell’operazione e l’impossibilità del recupero di pressoché l’intero importo capitale erogato”. Il liquidatore lo ha trovato scritto in alcune note a penna all’interno del fascicolo della posizione: “Nel paragrafo riferito alla variazione di destinazione urbanistica del terreno (da agricolo a edificabile) si legge ‘manca concessione'”. Tradotto: Etruria ha finanziato per quasi 5 milioni di euro una società che doveva costruire degli immobili su un terreno privo di autorizzazione a costruire. E quindi: “Nel paragrafo riferito alle osservazioni sull’operazione, si legge ‘Criticità: importo finanziamento e assenza concessioni edilizie. Punti di forza: validità dei Soci“. Chiarissimo il riferimento a Lorenzo Rosi, che in quell’operazione era uno e trino: consigliere d’amministrazione di Etruria, della società beneficiaria del prestito e di almeno una delle socie (La Castelnuovese Società Cooperativa) di quest’ultima.
La conclusione dell’operazione con vuoto a perdere è messa nero su bianco da Santoni: “Era quindi scritto già dal 2009 che la posizione sarebbe andata ad incaglio (status formalizzato da BPEL solo in data 31 luglio 2013) e che le somme erogate non sarebbero state recuperabili”. E così effettivamente è accaduto. Sempre il liquidatore: “All’esito dell’operazione, Città Sant’Angelo Sviluppo s.p.a. risultava debitrice nei confronti di BPEL dell’importo di € 4.105.256,00, di cui accantonato a perdita dai Commissari Straordinari al 30 settembre 2015 per € 2.906.135,21, con possibilità di recupero davvero esigue”.
A quanto è ammontato, alla fine, il danno che soltanto in questa partita Lorenzo Rosi ha causato alle casse di Etruria? Poco meno di tre milioni di euro. La morale di questa operazione è tutta nell’amara conclusione del liquidatore: “Una linea di fido di oltre 4 milioni, con erogazione immediata della gran parte dell’importo affidato, finalizzata all’acquisto di un terreno agricolo che era stimato di valore pari al fido stesso non aveva ovviamente alcun senso. Un’operazione di tal genere poteva considerarsi di interesse per la BPEL, come di qualsiasi altra banca, soltanto se tale terreno fosse stato edificabile e quindi fosse stato possibile portare avanti il progetto di costruzione del Retail Park. Ma al momento della delibera del c.d.a. del 22 ottobre 2008, nonché al momento dell’erogazione di gran parte del credito in data 16 febbraio 2009 era circostanza certa che non vi fosse la concessione edilizia, né alcun atto amministrativo che consentisse di prevedere se e quando si sarebbe potuta ottenere”. Ma con Rosi al timone, è stato possibile.
Tanto più che quello di Banca Etruria con le società che si occupano di outlet, è un rapporto di lunga data, come Il Fatto Quotidiano ha potuto documentare in più occasioni. E la vicenda di Citta Sant’Angelo non è certo un caso isolato, né per Etruria né per Rosi né per la “sua” Castelnuovese i cui intrecci con l’istituto di credito non si fermano alla moda, dove per altro si è distinta nei piani di espansione dei The Mall del gruppo Kering che hanno avuto come consulente anche Tiziano Renzi. Memorabile, per esempio, il caso dell’Ato Toscana Sud, il gestore unico della raccolta e smaltimento dei rifiuti per le province di Arezzo, Grosseto e Siena, finito al centro di una clamorosa inchiesta giudiziaria.