Una volta si diceva: “I bambini, i ragazzi sono a scuola. Sono tranquilla”. Poi ci fu il terremoto a San Giuliano che, insieme ad una classe di bimbi di I elementare e alle loro maestre, sgominò la nostra idea di scuola come luogo di sicurezza garantita. Da allora l’edilizia scolastica è stata spesso tema di promesse elettorali scontate (quale paese civile potrebbe ammettere scuole insicure?), quasi mai seguite da fatti. E. mentre i controsoffitti continuano a crollare (gli stessi che, nel 2008, hanno causato la morte di un Vito Scafidi), non si sa più nulla del demagogico programma Scuole belle propagandato da Renzi come una delle molte “rivoluzioni epocali”.

È invece certo che lo scorso anno scolastico ha registrato 44 crolli, con 6 feriti tra studenti e personale; lo racconta il XV rapporto sull’edilizia scolastica di Cittadinanza Attiva, uscito pochi giorni fa, dal quale si evince che è in ottimo stato solo il 3%  (solo-il-tre-per-cento, è bene scandirlo!) delle scuole italiane. Il consueto teatrino dello scaricabarile tra istituzioni competenti è nauseante: mentre loro promettono e litigano, i nostri figli, i nostri studenti e i lavoratori della scuola entrano quotidianamente in strutture che, seppure costruite recentemente, sono sempre insicure. Di veramente sicuro (il gioco di parole è voluto) è il fatto che, finché chi promette senza mantenere non sarà messo di fronte alle proprie responsabilità amministrative, penali, civili, etiche e politiche, andare a scuola dovrà esser annoverato tra le attività a rischio. Un’inversione, questa sì, epocale.

Mentre l’Ocse premia la Buona Scuola e il Job’s Act, incoraggiandoci ad andare avanti sulle “riforme” – evidentemente ancora incompiute, considerando che alcuni lavoratori hanno ancora un contratto a tempo indeterminato e la scuola pubblica non è ancora del tutto ridotta a trampolino di lancio per consegnare ad un antropofago mercato del lavoro merce a costo zero e manodopera iperflessibile e decontrattualizzata – ecco un nuovo protagonista sul palco dell’insicurezza: l’alternanza scuola-lavoro. È di questi giorni, infatti, la terribile notizia dello studente spezzino che è stato schiacciato, in un’azienda meccanica, da un muletto, fratturandosi una tibia. Ritorna quindi alla ribalta, tra i molti esiti nefasti della sempre più ossimorica Buona scuola, anche l’incolumità psicofisica dei ragazzi, che si va ad aggiungere ad una serie di motivi alla base delle manifestazioni promosse dagli studenti per il 13 ottobre: sciopero dall’alternanza indetto dall’Unione degli Studenti e mobilitazione dichiarata dalle Rete degli Studenti, iniziative cui hanno aderito movimenti e collettivi studenteschi, anche universitari. Presenti anche i Centri Sociali e la FGCI.

Siamo di fronte ai nostri figli e ai nostri studenti, nostri non solo nel senso familista e in quello professionale della parola, ma perché appartenenti alla comunità repubblicana, alla quale devono garantire un futuro di benessere democratico. Ebbene, a queste ultime generazioni è stato intenzionalmente – “riforma” dopo “riforma” – sottratto diritto allo studio e all’apprendimento; l’incuria e il disinteresse li hanno costretti inoltre a trascorrere le loro giornate scolastiche in strutture se insicure, sovente fatiscenti, asfittiche, brutte. Non solo, nell’ultimo periodo, grazie alla legge 107/15, sono stati anche allontanati dalle aule per andare a prestare lavoro gratuito presso enti e aziende il cui ambito operativo e culturale è spesso lontano da quello del percorso formativo scelto. E ora esigono il proprio diritto a non essere sfruttati.

Chiedono insomma a noi, opinione pubblica e cittadini adulti della Repubblica, di assumerci – così come nel campo della sicurezza e dell’edilizia – precise responsabilità nel campo del rapporto tra studio e lavoro. Ci chiedono di ricordarci e di rivendicare insieme a loro che l’“alternanza” è quanto mai lontana da ogni riferimento al “lavoro” così come la Costituzione lo pone a fondamento della Repubblica: emancipazione individuale e sociale, partecipazione attiva alla vita della comunità, dignità dei lavoratori e delle loro retribuzioni. Che l’alternanza, cioè, introduce indebitamente nel percorso formativo il lavoro mercificato, quello finalizzato alle esigenze dell’impresa, al profitto, in piena e palese contraddizione per contenuti e modalità organizzative con i pilastri dell’istruzione democratica: diritti, responsabilità, solidarietà. Dobbiamo ringraziare questi giovani: le loro manifestazioni, infatti, sono un’occasione per una riflessione generale sulla condizione del lavoro e dello studio in questa Italia ormai governata, corrosa e corrotta dal neoliberismo anche nella quotidianità della vita scolastica.

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