Con il collaudo definitivo di lunedì 9 ottobre 2017, vengono consegnate a Lifenet onlus dall’appaltatore Batidecor le opere relative alla realizzazione dell’Ospedale della Divina Provvidenza a Loul Sessène, in Senegal. La proprietà e gestione dell’ospedale è contestualmente trasferita alla locale Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Maria. E’ stata così completata la prima struttura senegalese interamente dedicata alla ginecologia e all’ostetricia di avanguardia, progetto il cui successo è stato completamente finanziato con i fondi raccolti in Italia dall’associazione anche attraverso il sostegno attivo di Rotary International.
Qualche tempo fa fece scalpore, durante i mesi caldi dei migranti che sbarcavano sulle coste italiane, il concetto di “aiutiamoli a casa loro”. Sia che fosse Renzi o i rappresentanti della destra, questa frase creò una levata di scudi tra tutti coloro che difendevano i migranti. Con la premessa che l’Africa è un territorio piuttosto grande e variegato, “aiutarli a casa loro” non è solo un modo di dire. Al contrario è un auspicio che si dovrebbe fare. Ed ecco che cercando tra contatti, clienti e amici trovo un caso di successo di sviluppo e speranza.
L’ospedale è stato progettato pensando, in particolare, alle necessità delle cure rivolte ai settori di maternità e la pediatria, cercando di tenere conto delle principali patologie locali ed in particolare delle problematiche legate alle infezioni. Sorge a Loul Sessene, 130 km a sud est di Dakar, in un’area rurale gravemente carente dal punto di vista sanitario, dove le donne ancora oggi subiscono vessazioni fisiche e sono prive della assistenza, anche durante la gravidanza e il periodo post parto.
La mortalità materna è elevata, aggravata dai problemi legati alle infezioni. Grazie alla collaborazione con l’Istituto Pasteur di Dakar sono state acquisite le conoscenze sanitarie specifiche in materia di analisi epidemiologica.
La struttura comprende un poliambulatorio e laboratorio di analisi e microbiologia, una sala parto con quattro postazioni e due camere operatorie (parti naturali, tagli cesarei, chirurgia ginecologica, chirurgia addominale, interventi in senologia e sull’utero, in corso di verifica). In aggiunta, un reparto di ostetricia e ginecologia (nido, neonatologia, ambulatori, sala degenza, 30 letti circa) e per supportare i nascituri pediatria e neonatologia (nido, neonatologia, infettivi, non infettivi, ambulatori, 50 letti circa). L’ospedale, costruito per fasi, partendo dagli ambulatori ha potuto beneficiare del supporto economico di privati italiani.
In vero, non si tratta solo di soldi. Un progetto del genere richiede un supporto tecnico e giuridico strutturato.
La pianificazione e l’esecuzione degli interventi, come anche i rapporti tra i soggetti partecipanti e le pubbliche amministrazioni sono operazioni che richiedono anni e sono soggette a varie criticità. In questo percorso, Lifenet è stata assistita da un team coordinato da Stefano Sutti e Giangiuseppe Sanna dell’ufficio milanese dello Studio legale Sutti, già sponsor dei gala di beneficenza organizzati da Lifenet a Milano in tema swing per promuovere l’iniziativa, che ha fornito la sua consulenza e assistenza contrattuale a titolo gratuito nel quadro del suo programma Pro bono.
Costruito con il supporto degli europei per aiutare la vita comune in Senegal. Niente investimenti mirabolanti, niente sprechi. Una semplice struttura dove la conoscenza e l’esperienza europea incontra la manodopera locale e le necessità di una piccola comunità rurale.
Si potrebbe obiettare che una comunità così piccola non fa la differenza. Non proprio. Si ricordi che tuttora una discreta percentuale dei migranti che arrivano in Europa provengono da comunità rurali. Contadini, allevatori, persone con una formazione culturale modesta, che scappano dalla loro terra per mancanza di risorse, di un futuro. Madri che partoriscono i loro figli sui gommoni cinesi da 300 dollari.
Questo piccolo progetto non salverà tutti gli africani, difficilmente potrà essere una soluzione finale per evitare ai migranti di arrivare in Italia.
Ma sicuramente è un piccolo, valido passo, per aiutarli a casa loro, per permettere una vita normale a madri e figli (o figlie).
È una piccola goccia in un oceano. Ma dopo tutto l’oceano è fatto di tante piccole gocce.