“Ci rubano il futuro? Noi ci liberiamo dal ricatto”. Dietro questo slogan scendono oggi in piazza migliaia di ragazzi di tutt’Italia per il primo sciopero contro l’alternanza scuola-lavoro, prevista dalla Legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”. L’iniziativa voluta dall’Unione degli Studenti ha trovato il sostegno di molte altre sigle tra cui anche Link, il coordinamento universitario. Perché il problema dello “sfruttamento”, a detta dei ragazzi, è comune sia a chi si trova sui banchi delle superiori a fare obbligatoriamente l’alternanza scuola-lavoro così come a chi frequenta gli atenei e svolge tirocini formativi come previsto dalla Legge 196 del 24 giugno 1997 e dall’accordo Stato-Regioni del 24 gennaio 2013.

Si tratta di due esperienze diverse. La prima che già esisteva nelle scuole secondarie di secondo grado è diventata obbligatoria con la Legge 107 mentre la seconda (può essere facoltativa o obbligatoria a seconda della facoltà) è una pratica di formazione che consiste in un’esperienza, coerente con il proprio percorso formativo e professionale, da svolgere presso enti pubblici o privati con lo scopo di introdurre lo studente nell’ambito lavorativo.

Ad oggi si contano 1,5 milioni di ragazzi delle superiori più o meno equamente ripartiti tra le classi terze, quarte e quinte dell’ultimo triennio di tutti i percorsi di studi in alternanza scuola-lavoro e 143mila tirocini universitari che hanno visto un incremento del 116 per cento negli ultimi cinque anni “grazie al fatto che non c’è un limite da parte delle aziende nell’attivare questo programma”, spiega Alessio Bologna di Link.

Dal terzo anno di scuola impariamo cosa significa essere manodopera gratuita nelle mani delle grandi aziende“Siamo gli stessi figli che, nati in una bolla precaria di vita, imparano cosa significa essere manodopera gratuita nelle mani delle grandi aziende: lo impariamo a partire dal terzo anno di scuola superiore con le 200 ore obbligatorie di alternanza per i licei e le 400 ore per gli istituti tecnici e professionali; lo impariamo a partire dalla divisione delle ore tra licei ed istituti che classifica ingiustamente gli indirizzi di studi; lo impariamo dall’assenza di tutele e di uno statuto dei diritti che garantisca qualità e gratuità dei percorsi di alternanza che intraprendiamo”, spiegano i ragazzi dell’Unione degli studenti coordinati da Francesca Picci.

A loro fa eco Andrea Torti di Link: “Non esiste uno statuto che garantisca i nostri diritti, malattia, maternità, rimborsi spese. Non abbiamo nemmeno la compatibilità con gli esami e con l’orario di lezioni se previste nello stesso semestre. Inoltre dentro i nostri atenei e dipartimenti non esistono commissioni paritetiche che monitorino in più fasi il controllo della coerenza tra progetto formativo e attività svolte e che definiscano criteri per l’accreditamento degli enti ospitanti dove si pratica il tirocinio, come il rispetto dei diritti dei lavoratori. Non siamo più disposti a fare fotocopie o portare caffè. Scendiamo in piazza per far conoscere le nostre esperienze di sfruttamento”.

Appunto. Chi frequenta l’università ha la possibilità di svolgere un tirocinio curriculare (se svolto durante il percorso universitario); uno ordinistico (se fatto obbligatoriamente per l’accesso alle professioni) o extracurriculare se eseguito dopo la laurea ed entro i 12 mesi in continuità con il percorso universitario. Se parliamo di quest’ultimo caso Bologna, che segue per Link questo filone, ci spiega: “E’ il caso di chi dopo l’università va in uno studio d’avvocato. Spesso trascorrono il tempo a fare fotocopie ma lo devono fare”.

Non esiste uno statuto che garantisca i nostri diritti, malattia, maternità, rimborsi spese

I casi degli universitari: le storie di Chiara e Marco – Per raccoglierli e monitorarli Link ha lanciato proprio in questi giorni un’inchiesta nazionale. Ci sono storie come quella di Chiara (nome di fantasia), studentessa del terzo anno in Educatore sociale e culturale iscritta all’ateneo di Bologna. Come previsto dal piano di studi, lo scorso anno ha effettuato 225 ore di tirocinio all’interno dell’unità operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Sant’Orsola, specificatamente nel reparto dei disturbi alimentari in età evolutiva. “Vista la figura professionale che avrei dovuto rappresentare, il compito che mi aspettava – spiega Chiara – era quello di organizzare e sviluppare laboratori creativi ed attività educative, ludico-espressive di gruppo e personalizzate. Insomma le premesse erano fantastiche. Peccato che la realtà si sia rivelata molto meno entusiasmante delle parole scritte su quella presentazione di tirocini. I dubbi sono iniziati ben presto: sono stata introdotta al reparto dalla tirocinante uscente, una mia coetanea, studentessa anche lei al secondo anno di università, la quale mi ha passato tutte le consegne, mi ha insegnato quello che in autonomia aveva imparato per poi lasciarmi in mano tutto quel processo di riabilitazione iniziato ancor prima di lei. Finite le due settimane di accostamento, mi sono trovata a gestire il piano psico-educativo esclusivamente in compagnia dei due tirocinanti che avevano iniziato con me. Entravamo e uscivamo dal lavoro senza scorgere l’ombra della nostra tutor. Era raggiungibile solo nel suo ufficio, quando e se c’era. In quattro mesi di servizio non l’ho mai vista in reparto”. Il Sant’Orsola di Bologna, interpellato sul caso, ha risposto così: “Non ci risulta alcun nominativo proveniente da quella facoltà che ha fatto un tirocinio da noi. Potrebbe essere una studentessa che ha fatto il tirocinio presso la scuola in ospedale. In quel caso il tutor non è un dipendente dell’ospedale. Noi non abbiamo mai avuto lamentele di questo tipo”.

La nostra tutor? In quattro mesi non l’ho mai vista in reparto

Ma non c’è solo la storia di Chiara. Marco studente alla magistrale di Antropologia all’Università di Bologna non è soddisfatto: “Purtroppo, quando studiavo in triennale ho fatto un tirocinio curriculare di 150 ore presso un’associazione, pensando di poter svolgere attività sociali ed educative attinenti al mio percorso di studi. Le attività di questo tipo, come i doposcuola per adolescenti (in particolare stranieri), erano però ridotte all’osso e la maggior parte delle ore le ho trascorse svolgendo noioso lavoro d’ufficio, fotocopie e pratiche ripetitive senza alcun carattere formativo. Spesso ho dovuto saltare le lezioni di un corso importante perché gli orari del tirocinio coincidevano e a poco è servita la segnalazione al professore. Tra l’altro la notevole distanza mi imponeva di prendere il mezzo pubblico senza che fosse previsto alcun rimborso spese. Solo di trasporto ho speso circa 300 euro che ho dovuto mettere di tasca mia, ledendo così il mio diritto allo studio”.

I giovani delle superiori – E i casi non sono diversi per gli studenti delle scuole superiori, come abbiamo più volte raccontato anche sul fattoquotidiano.it. Nonostante le pubbliche denunce i giovani continuano a sentirsi “sfruttati”. A Parma, l’Uds ha scritto una vertenza all’ufficio scolastico regionale per il caso di un ragazzo di un istituto tecnico economico di Parma: “Il progetto di tirocinio doveva essere sul software aziendale del centro sportivo “Ercole Negri” ma è stato mandato ad aprire e chiudere ombrelloni ”, spiega la coordinatrice nazionale Francesca Picci. “Non posso dire di più. Non le posso dire il nome dello studente, solo quello della scuola ma non lo scriva. Quel ragazzo è l’unico che ha denunciato va salvaguardato. Dopo la nostra vertenza l’alternanza è stata sospesa”.

I ragazzi hanno paura a fare nomi e cognomi, temono ritorsioni. Contattato il direttore del centro sportivo, Stefano Mari, ha preferito non spiegare: “Ne abbiamo già parlato non abbiamo più niente da dire. Dobbiamo lavorare, non abbiamo tempo da perdere. Si rivolga alla scuola”. Ci pensa la dirigente scolastica, Luciana Donelli, a fare chiarezza: “Lo stage è stato interrotto prima che lo studente si lamentasse con la suo tutor. Avrebbe dovuto seguire la reception ma gli facevano fare in realtà altri lavori. Ci sono persone che non hanno difficoltà a dare una mano anche in altre cose mentre questo studente forse si è sentito non utilizzato nel migliore dei modi. In questo caso il tutor è stato essenziale”. La coordinatrice dell’Uds segnala anche un’altra storia a Taranto: “I ragazzi dell’artistico “Calò” nei mesi scorsi sono finiti a scartavetrare barche alla Lega navale. Abbiamo anche le foto che non possiamo darvi perché i ragazzi hanno poi avuto problemi con la scuola. Anche in questo caso abbiamo fatto una vertenza all’ufficio scolastico regionale”.

Doveva fare il tirocinio sul software aziendale, ma è stato mandato ad aprire e chiudere gli ombrelloni

Diversa la ricostruzione del presidente della Lega Navale di Taranto Federico Sion: “Si è tutto risolto. Qualcuno di noi ha spiegato ai ragazzi come si scartavetra, come si fanno le barche. Voleva solo dare un insegnamento, far capire. Sì è vero hanno scartavetrato. Poi sono venuti a reclamare ma la parte operativa è inclusa nell’insegnamento. Si è tutto chiarito, la scuola ci aveva detto cosa far fare ai ragazzi. Non è stata un’attività ma un momento di formazione. Nulla di più”. Impossibile parlare con la dirigente del liceo artistico Brigida Sforza. Al numero riportato sul sito della scuola come “telefono ufficio” dirigenza cade la linea. Al centralino ci promettono di farci parlare con la vice preside Maria Teresa Greco: “Chiami alle 12”. All’ora dell’appuntamento ci risponde: “Ah lei è il giornalista? Mi dia il suo cellulare, la richiamo tra cinque minuti”. Ma la telefonata non è mai arrivata.

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