L'assoluzione riguarda l'ex presidente Roberto Casari (prosciolto a luglio anche dall'accusa di aver corrotto un ufficiale dell'Aise) e gli ex manager Giuseppe Cinquanta e Giulio Lancia. Condannati invece gli imprenditori casertani Antonio Piccolo e Claudio Schiavone
Non ci fu alcun patto tra il clan dei Casalesi e la cooperativa emiliana Cpl Concordia, così come dichiarato dall’ex boss pentito Antonio Iovine. Il tribunale di Napoli Nord ha assolto “perché il fatto non sussiste” l’ex presidente Roberto Casari e gli ex manager Giuseppe Cinquanta e Giulio Lancia dall’accusa di concorso esterno in associazione camorristica ipotizzata durante le indagini sui lavori di metanizzazione compiuti tra il 1999 e il 2003 a Casal di Principe e in altri sei comuni del Casertano. Per l’accusa, la Cpl si era aggiudicata l’appalto con l’appoggio della fazione dei Casalesi guidata da Michele Zagaria.
Sono stati condannati invece gli imprenditori che eseguirono i lavori, ritenuti legati al boss Michele Zagaria: ad Antonio Piccolo e Claudio Schiavone sono stati dati rispettivamente 10 e 6 anni. I pm Catello Maresca e Maurizio Giordano avevano chiesto per i 5 imputati condanne tra 8 e 12 anni.
Casari a luglio è stato prosciolto anche dall’accusa di aver corrotto l’ufficiale dell’Aise Paolo Costantini, all’epoca impegnato negli Emirati Arabi, per ottenere notizie riservate. L’indagine era partita dall’inchiesta-madre della procura di Napoli condotta dai pubblici ministeri Henry John Woodcock, Celeste Carrano e Giuseppina Loreto e verteva attorno alle rivelazioni di Francesco Simone, responsabile delle relazioni istituzionale di Cpl e dalle intercettazioni telefoniche eseguite dai carabinieri del Noe allora guidati da Gianpaolo Scafarto.
In sede di requisitoria, i pm della Dda di Napoli Maurizio Giordano e Catello Maresca avevano chiesto dagli 8 ai 12 anni per tutti gli imputati. Oltre a Giordano e Maresca, dell’inchiesta si occupò anche l’ex pm di Napoli Cesare Sirignano, oggi in forza alla Dna. Alla coop modenese si giunse grazie a un’intercettazione ambientale raccolta durante un’altra inchiesta relativa alla metanizzazione sull’isola di Ischia. “Torno dalla mia famiglia e dai miei concittadini soddisfatto che la giustizia abbia emesso questa sentenza che solleva me e la cooperativa e i soci da un’accusa cosi infamante”, ha detto Roberto Casari, 64 anni e per 42 presidente della Cpl Concordia, che oggi era in aula.
“La sentenza scrive una pagina di evidente verità, restituendo agli imputati assolti piena onorabilità e riconoscendo loro il merito di aver portato un pò di benessere in un territorio molto difficile del Paese”, ha invece sottolineato l’avvocato Bruno La Rosa, legale dell’ingegnere Lancia. “Siamo felici per le persone coinvolte, soprattutto perché abbiamo rischiato di mettere a repentaglio 1.500 posti di lavoro. Ma chi pagherà mai i danni economici, reputazionali e di immagine della cooperativa?”, si chiede Mauro Lusetti, presidente Legacoop nazionale.
La sentenza riconosce da un lato che le opere di metanizzazione dell’agro-aversano furono realizzate da imprenditori legati alla camorra, ma non conferma l’esistenza di un accordo tra gli ex manager della coop rossa e il clan dei Casalesi, così come ipotizzato dalla Dda, che aveva iniziato ad indagare sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Iovine, ex boss del clan dei Casalesi. Nel giugno 2014, Iovine poco dopo il pentimento, iniziò a raccontare di come i Casalesi erano entrati nel lucroso affare dei lavori di metanizzazione che tra il 1999 e il 2003 erano stati realizzati in alcuni comuni del Casertano. Nel febbraio 2015 il Noe eseguì alcuni scavi in pieno centro a Casal di Principe, in corso Umberto, e scoprirono che le tubature erano realmente a 30 centimetri di profondità invece che a 60.