Al netto del disfattismo di alcune parti politiche che raccontano che tutto va a rotoli, il futuro dei giovani non è roseo per motivi vari come recentemente ci spiega Maurizio Ferrera sul Corriere della sera.
Ancorché con un po’ di pessimismo sui dati occupazionali che, per esempio, Antonietta Mundo e Alessandra Del Boca contestano, Ferrera ha il pregio di guardare a problematiche che una volta tanto esulano dal sistema pensionistico e dalle future basse pensioni.
Le pensioni basse potrebbero essere, sì, l’epilogo di una brutta storia, ma non è guardando al sistema pensionistico, come amano fare sindacati e purtroppo anche il governo, che il problema si risolve. Per quanti poi auspicano una suddivisione netta tra previdenza e assistenza, il cercare nell’organizzazione del sistema pensionistico i modi per migliorare le prospettive dei giovani è una contraddizione in termini, un progetto velleitario, senza sbocchi.
E’ evidente che nell’ambito del sistema non si troveranno risorse per ovviare, in futuro, a storie contributive discontinue e di basso profilo. Oggi lo Stato finanzia l’Inps soprattutto per far fronte alle spese assistenziali, senza le quali ci sarebbe quasi equilibrio tra contributi di lavoratori attivi e pensioni; il rapporto attivi-pensionati è il dato più preoccupante ed è il fattore differenziante tra la situazione di oggi e quella di 30 anni fa. Infatti non è da oggi che i lavoratori attivi finanziano le pensioni dei quiescenti, è la regola del sistema a ripartizione, i pensionati di oggi hanno pagato le pensioni di padri e nonni, ma allora il rapporto occupati/pensionati era migliore.
Ad aggravare i conti dell’Inps partecipa anche l’eredità del cassato sistema retributivo i cui effetti scompariranno nel tempo e i conti dell’Inps avranno respiro dal passaggio al contributivo, ma quest’ultimo comporterà pensioni basse per chi avrà versato poco.
Nell’ottica di chi vuol separare assistenza e previdenza è palese che l’Inps non debba erogare un centesimo in più di quanto dovuto in base a contributi e aspettativa di vita. Pertanto, chi reclama la separazione e poi suggerisce che basti cambiare il sistema previdenziale per assicurare pensioni migliori è intellettualmente disonesto. Chi ben vede la commistione assistenza/previdenza non sta meglio, in quanto, per evitare che i progetti di “pensioni di garanzia” proposti siano una truffa verbale, dovrebbe avere il coraggio intellettuale di spiegare che le pensioni di garanzia sarebbero una pura variazione sul tema del sistema retributivo in quanto, come quest’ultimo, integrerebbero artificialmente le pensioni contributive e quindi manterrebbero l’Inps in una situazione critica, costringendo lo Stato (leggasi: i contribuenti) a ripianare ogni anno i conti dell’Ente. Inaccettabile e pure contraddittorio che chi urla contro le pensioni retributive riproponga sussidi simili.
Sembra che una via d’uscita non ci sia. Infatti non c’è, almeno nell’ambito del sistema previdenziale o pensionistico. Potrebbe esserci nell’ambito del sistema economico più vasto e, come indicato da Ferrera nell’articolo citato, sarebbe ora di cominciare a occuparsi di questo. L’unica soluzione, non solo per i futuri pensionati, ma per la Società tutta, è che si produca e mantenga occupazione, che il rapporto occupati-pensionati cresca (non per decessi), che i contributi pensionistici vengano regolarmente pagati e non evasi, che le carriere lavorative possano iniziare prima e, seppure con mobilità, siano continue.
Occorre cioè che l’economia funzioni bene e perché ciò accada bisogna smetterla di trastullarsi con progetti come la pensione di garanzia, irrealizzabili se l’economia non funziona e inutili se funziona o con progetti come la riforma strutturale della previdenza, ininfluente sulla futura pensione dei giovani se l’economia è stagnante; in questo caso, infatti, non ci sono risorse né individuali né delle Aziende per secondi o terzi pilastri.
Occorre pensare in un paradigma diverso; considerare che l’assistenza a pioggia comporta una fiscalità esasperata che deprime l’economia, che il sistema educativo (salvo rare eccezioni) non garantisce la formazione delle professionalità necessarie e impedisce perfino di distinguere a prima vista i capaci dagli altri, che se lo Stato investitore ha dato prova (ovunque) di essere fallimentare, lo Stato che incentiva investimenti e tecnologie è vincente, che si devono fare i conti con la pressione delle popolazioni povere del pianeta disponibili a lavorare per un reddito marginale rispetto al nostro, che il mondo non può essere ricondotto a una serie di scatole chiuse ma che non si può neppure accettare un flusso illimitato di migranti, che la stratificazione dei redditi può essere un incentivo a darsi da fare e che la diseguaglianza non va combattuta appiattendo i redditi ex post, ma creando ex ante le condizioni affinché chi vuole possa crescere in condizioni di pari opportunità.
Tutte cose facili da elencare, con soluzioni difficilissime da intraprendere, ma se non si inizia subito i giovani si ritroveranno con un problema enorme e potranno ringraziare gli intrattenitori, i politici calcolatori, i demagoghi e populisti, gli utopisti, i miopi ma, soprattutto, quelli che il problema lo vedono bene ma per disonestà intellettuale lo negano.