Gli italiani erano 53 milioni e sognavano la Nuova 500 e la tv Urania con il tubo catodico, ovviamente in bianco e nero. I nostri emigranti spedivano ogni anno in patria l’equivalente di 5,6 miliardi di euro, più o meno pari alle rimesse che oggi gli immigrati in Italia inviano nei Paesi di provenienza. I laureati guadagnavano più del doppio della media. E solo un quarto delle famiglie possedeva sia la tv sia la lavatrice sia l’auto: il 23% non aveva nessuna delle tre. La lavastoviglie, poi, era un’aspirazione alla portata di meno del 3% della popolazione. Correva l’anno 1968, quello a cui è dedicato il numero di FqMillenniuM in edicola da sabato 7 ottobre.
Per capire come stavano gli italiani torna utile una delle prime indagini su risparmio e struttura della ricchezza dei residenti, pubblicata l’anno dopo dalla Banca d’Italia guidata allora da Guido Carli. Il reddito medio di un nucleo familiare, rilevavano gli analisti di via Nazionale, era di 1,6 milioni di lire all’anno. Ma i pochi che avevano proseguito gli studi dopo le superiori arrivavano a prendere in media 2,5 milioni (contro le 600mila lire degli analfabeti). E’ l’equivalente di 35mila euro attuali. Ai laureati di oggi va molto peggio: il reddito medio è di 17.500 euro annui.
Nonostante le differenze legate al titolo di studio, l’Italia del ’68 era ancora un Paese con un tasso di disuguaglianza molto basso. Le famiglie che ricadevano nei primi tre decili – in soldoni le più povere – percepivano il 35% del reddito totale. Nel 2014, per fare un confronto, quella quota è scesa all’11,7%. Il 37,4% delle uscite mensili del resto era destinato all’acquisto di alimentari: oggi la percentuale si ferma al 17,7%. In compenso gli elettrodomestici erano un lusso: solo un quarto della popolazione aveva l’aspirapolvere e meno del 40% possedeva la lavatrice. Le percentuali salivano rispettivamente al 68 e all’85% tra chi aveva redditi oltre i 3,5 milioni di lire. Ma anche nelle case di questi Paperoni la lavastoviglie era una comodità poco diffusa: ce l’avevano solo 3 su 10.
L’auto, in compenso, stava diventando un bene di massa. Nella Penisola ne circolavano solo 9,2 milioni, contro i 38 milioni di oggi, e i listini di casa Fiat consentivano a quasi tutti i lavoratori di metterne una in garage. A un under 30 bastavano cinque stipendi per comprarsi una 500 nuova. Se era laureato, quattro erano più che sufficienti. Oggi, stando ai dati Istat, la famiglia di un 35enne deve metterne da parte quasi sette per portare a casa una Nuova Fiat 500 a benzina, modello base.
La passione degli italiani per il mattone, poi, era già scoppiata ma stava iniziando solo da pochi anni a mostrare i propri effetti: le famiglie con casa di proprietà erano il 49% del totale contro il 41,7% del 1961. Oggi la quota è del 78%. Tuttavia, ricordava Bankitalia, “i movimenti interni di popolazione, sia in senso verticale (Sud-Nord) che orizzontale (campagna-città), interessando in prevalenza gruppi di famiglie a basso reddito, si accompagnano nei primi anni dell’insediamento a un’elevata diffusione della locazione”. L’affitto era comunque ben più abbordabile di oggi: in media la pigione ammontava al 14% del reddito. Oggi, sempre secondo via Nazionale, l’incidenza è del 23%. Che cosa succedeva nei tanti appartamenti di studenti trasformati in “comuni” è un’altra storia. La racconta Leonardo Coen su FqMillenniuM in edicola.