«Io non sapevo di essere povero, l’ho scoperto leggendo i dati Istat. Dicevano che qui a Milano sei povero se non puoi spendere più di ottocento euro e spicci al mese. Ecco, io». Simone è uno dei poveri che prima non lo erano: due su tre. Ancora non se ne capacita. Ha una casa in affitto – una stanza in affitto in una casa in affitto – una laurea in Sviluppo e Cooperazione internazionale presa con il massimo dei voti quando si immaginava di andare ad aiutare i poveri dei paesi in via di sviluppo: «Ci sono anche andato, a fare il volontario in Congo». Poi ha fatto il volontario in Italia, poi ha cominciato a collaborare con le cooperative che fanno progetti di accoglienza e ha scoperto di essere lui, qui in Italia, un povero in un paese in via di sviluppo. «Ci pagano a singhiozzo: certi mesi arrivo a mille, millecinquecento, certi mesi niente. Da quando c’è la crisi tutti i progetti che riguardano il sociale vengono tagliati, i budget ridotti, le persone lasciate indietro. Così aumenta la dispersione scolastica e la criminalità». Parla delle persone lasciate indietro dal governo che ha prosciugato i fondi per le politiche sociali – 211 milioni in meno sui 311 stanziati nel 2016 – come se non fosse anche lui, uno di quelli lasciati indietro. Lui che come altri 11 milioni di italiani ha rinunciato alle cure mediche perché non può permettersele – «Mi sono spaccato due denti cadendo dalla bici. Fa niente, va’, li tengo così» -, rinunciato alle vacanze e alle cene in pizzeria, rinunciato alla macchina – «Tanto ho la bici» -, rinunciato comprare la carne al discount – «Mangio tanto tonno».
Simone pensava di scendere in piazza, oggi, per gli altri. Per i poveri triplicati in dieci anni, 5 milioni in povertà assoluta, 9 in povertà relativa, un milione e mezzo di famiglie che se il capofamiglia è un operaio l’incidenza della povertà assoluta è doppia perché poveri, oggi, non sono più solo i disoccupati ma anche i lavoratori. Gli occupati per i quali il lavoro doveva essere lo strumento di elevazione sociale, sviluppo, protezione, la garanzia di un’esistenza libera dignitosa per sé e per i propri cari.
I poveri saranno in piazza in questo sabato 14 ottobre, in 30 città. Una mobilitazione lanciata dalla Rete dei numeri pari, nata pochi mesi fa e che unisce circa quattrocento realtà in tutta Italia impegnate contro la povertà. Il cuore della mobilitazione a Roma, con la presenza in piazza San Giovanni Bosco di Don Luigi Ciotti di Libera, che sulla lotta alla povertà batte ogni giorno, da mesi, perché «non si sconfigge la mafia se non si sconfigge la povertà». «A causa dell’austerità e dei tagli alla scuola pubblica – spiega Ciotti – oggi l’Italia è il peggiore paese per dispersione scolastica, per impoverimento della popolazione giovanile, quello che ha investito meno di tutti in istruzione e cultura, che ha il maggior numero di precari e con la peggiore distribuzione della ricchezza insieme alla Gran Bretagna».
La piazza sarà animata da artisti e associazioni, movimenti per l’abitare e contro la violenza sulle donne, sindacati, movimenti antimafia e tanti altri. Una giornata di mobilitazione per denunciare che i poveri sono triplicati, ma non solo. Anche che sono i triplicati i ricchi. In Italia 307 mila famiglie, l’1,2% del totale, possiedono più di 1 milione di euro e il 20,9% della ricchezza finanziaria. «I miliardari sono sono diventati 342 nel nostro paese, a riprova del fatto che il problema non è l’assenza di ricchezza o di crescita bensì di redistribuzione della ricchezza, i modelli industriali scelti, i regimi fiscali e politiche sociali imposte».
«La rotta delle disuguaglianze si può invertire, lo dimostra l’esperienza di Portogallo, Grecia e Spagna: grazie alla partecipazione e all’impegno diretto dei cittadini e dalle realtà sociali – dice Giuseppe De Marzo, della Rete dei numeri pari – si possono contrastare le politiche di austerità e rimettere al centro l’impegno per la giustizia sociale».
Invertire la rotta si può perché la povertà non è un’epidemia, non è un destino ineluttabile, un accidente imprevisto. L’impoverimento dilagante è la conseguenza delle politiche classiste ed escludenti dei governi degli ultimi vent’anni, piegati alle richieste delle grandi aziende e delle banche che finanziano le campagne elettorali e investono nei giornali e nelle tv o direttamente li posseggono. Il che spiega la scarsa o nulla attenzione o la messa in ridicolo dedicata dalle medesime tv e giornali ai partiti che mettono la lotta alle disuguaglianze al centro del loro agire politico e l’enfasi riservata invece dai media, in questi anni di impoverimento per molti e arricchimento per pochissimi, a formazioni assai meno rappresentative – rappresentate da quei pochissimi – come “Italia Futura” di Montezemolo, della quale era coordinatore l’attuale ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, o “Italia Unica” di Corrado Passera, ex ministro dei trasporti del Governo Monti e Ad di Banca Intesa, o “Scelta Civica” dell’advisor di Goldman Sachs Mario Monti, che poi si è risolta in una corrente del Pd e ha traghettato in Parlamento la ministra della “Buona Scuola” Stefania Giannini e Andrea Romano, l’uomo scelto da Renzi per affondare l’Unità fondata da Antonio Gramsci e lasciando a casa – causa deludente risultato elettorale – proprio il candidato Calenda, prontamente ripescato da Renzi al governo.
Così si spiega il circolo vizioso, senza fare troppa dietrologia sulla teoria, la terza via, su come i grandi partiti socialdemocratici si siano fatti corrompere dall’ideologia neoliberista e abbiano come gli altri e più degli altri proceduto a deregolamentare il lavoro rendendolo precario e mal pagato, a regalare soldi alle imprese invece di destinare quei fondi a chi vive in povertà assoluta, ad alleggerire il carico fiscale dei ricchi tagliando servizi ai poveri. Il perché è semplice e l’ideologia non c’entra: se vuoi i voti, considerando che la maggioranza degli italiani ancora si forma un’opinione attraverso i media, ti conviene ricambiare il favore a quelli che ti invitano ogni giorno in tv e ai giornali che lodano ogni tua riforma purché piaccia ai proprietari e agli inserzionisti dei giornali medesimi. Ti conviene concordare quelle riforme con loro, farci le bicamerali e i patti del Nazareno, o anche farle scrivere direttamente a loro le riforme: agli esponenti di un partito del niente per cento ma portavoce degli interessi della finanza e delle grandi imprese come Scelta Civica come Monti, Giannini, Calenda. Ti conviene e poi, a ridosso della campagna elettorale, sostituire i ministri che più si sono esposti con qualche ex sindacalista e dichiarare nelle tv e giornali di cui sopra di volerti battere contro la povertà crescente, spiegando che siamo diventati poveri per colpa delle macchine che ci rubano il lavoro, degli immigrati, dei sindacati, di Giove in Capricorno e non delle riforme che hai fatto, fatto fare (non agli immigrati, non ai sindacati) votato.