“Quella sull’Iran Deal è una scelta puramente ideologica, senza un vero fine politico o strategico – commenta Gabriele Iacovino, direttore del Centro Studi Internazionali – non ha solo riacutizzato vecchie crisi, ma ne ha create di nuove e ha compromesso la credibilità internazionale degli Stati Uniti"
Con la decisione di ridiscutere, con la possibilità di abbandonare, l’accordo sul nucleare stipulato nel 2015 tra Iran e 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), Donald Trump rischia di creare una nuova crisi in Medio Oriente. Dopo il periodo di distensione voluto da Barack Obama con i governi di quei Paesi che George W. Bush aveva additato come “Asse del Male” (Iran, Iraq e Corea del Nord) e le promesse elettorali di Trump che puntavano tutto su un graduale disimpegno statunitense dalle aree calde del mondo, oggi il capo della Casa Bianca aggiunge un nuovo tassello alla già avviata svolta interventista che aveva raggiunto il suo apice, fino ad ora, con il muro contro muro iniziato con la Corea del Nord di Kim Jong-un. “Quella sull’Iran Deal è una scelta puramente ideologica, senza un vero fine politico o strategico – commenta Gabriele Iacovino, direttore del Centro Studi Internazionali (Cesi) – in questi mesi, Trump non ha solo riacutizzato vecchie crisi, ma ne ha create di nuove. Ha gettato nuova benzina sul fuoco del Medio Oriente, compromettendo la credibilità internazionale degli Stati Uniti d’America”.
“Le accuse di Trump all’Iran sono infondate”
Trump si è presentato davanti alle telecamere spiegando la sua volontà di rivedere il Nuclear Deal, che da sempre ha definito come “il peggior accordo della storia”, rimandando la discussione al Congresso, ma si è detto pronto anche a rompere l’intesa. Una strategia legittima, però, solo se in possesso di prove riguardo a una violazione dell’accordo da parte di uno dei Paesi firmatari. “Si tratta di una scelta esclusivamente ideologica – sostiene Iacovino – una strategia politica nemmeno troppo comprensibile partorita direttamente dalla Casa Bianca, dalle menti di Trump e di un gruppo ristretto di consiglieri a lui molto vicini. Non è una mossa voluta dal Dipartimento di Stato o dal Pentagono che più volte hanno dichiarato di non vedere la necessità di una revisione dell’accordo. Perché, però, Trump ha rimandato la palla al Congresso invece di applicare immediatamente nuove sanzioni e rompere l’accordo? Perché per farlo ha bisogno delle prove. Prove che non ha perché non ci sono state, per quello che si sa, violazioni dell’accordo da parte di Teheran (come ha sottolineato anche l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Federica Mogherini, ndr)”.
La decisione, adesso, spetta al Senato degli Stati Uniti che, come ha spiegato il Segretario di Stato, Rex Tillerson, ha tre possibilità: non prendere decisioni, nel caso in cui non venissero ravvisate violazioni dell’accordo da parte dell’Iran; applicare nuove sanzioni nel caso in cui, al contrario, emergessero responsabilità di Teheran; appoggiare la volontà di Trump di ridiscutere l’accordo con parametri più restrittivi. “La terza strada è impraticabile – dice l’analista del Cesi – è incredibile come Trump e la sua amministrazione stiano trattando la questione del nucleare iraniano come se fosse un accordo bilaterale. Come possono pensare che i Paesi e le istituzioni europee coinvolte debbano sedersi di nuovo a un tavolo delle trattative per modificare un’intesa che a loro va bene solo perché lo dicono gli Usa?”.
Trump alza la tensione in Medio Oriente “e perde credibilità”
Durante la campagna elettorale portata avanti con lo slogan “America First”, Trump, guidato dall’ex stratega Steve Bannon, aveva annunciato la volontà di avviare una ritirata graduale e strategica degli Stati uniti dalle aree calde del mondo. Oggi, a dieci mesi dalla sua entrata alla Casa Bianca, il presidente americano ha riportato la tensione con l’Iran a livelli raggiunti ultimamente solo durante i mandati di Bush e Mahmud Ahmadinejad, ha dichiarato guerra alle Guardie della Rivoluzione, oltre che a Hezbollah, complicando ulteriormente il processo di pace in Siria e Iraq, ha contribuito al processo di frammentazione del Golfo favorendo l’isolamento del Qatar e ha contribuito ad esasperare come mai fino ad oggi lo scontro con la Corea del Nord.
“Questa strategia non ha senso – continua Iacovino – dietro non c’è un fine politico, strategico, militare o economico, ma solo ideologico. Si è deciso che l’Iran è il male assoluto e quindi lo sarà per sempre, anche senza le prove. Questo atteggiamento porterà a due gravi conseguenze: la prima, con l’Iran che rischia di nuovo di finire in mano ai conservatori che, così, hanno motivo di rispolverare la retorica del Grande Satana riferita agli Usa, vanificando così decenni di diplomazia; la seconda, con gli Stati Uniti che, rompendo un accordo senza un valido motivo, perderanno credibilità agli occhi degli altri attori internazionali. Chi glielo va a dire poi a Kim Jong-un di fermare il proprio programma nucleare e trovare un accordo?”.
Ma la situazione più grave, sostiene Iacovino, è quella che riguarda lo scacchiere mediorientale: “Quello tra Bush e Ahmadinejad – conclude – era uno scambio di accuse dai toni molto aspri, ma qui mi sembra si sia oltrepassato quel limite. Da una parte Trump cerca il cessate il fuoco in Siria e dall’altra fa uno sgarbo del genere all’Iran, con il quale ha a che fare anche per le questioni irachena e afghana? Appoggi i Paesi che stanno cercando di isolare il Qatar, consegnando un Paese così importante nel Golfo Persico nelle mani di Iran e, soprattutto, Turchia? Trump sta gettando benzina sul fuoco mediorientale e sembra che sia in cerca di un nemico per distogliere l’attenzione dagli insuccessi interni. Il rischio è che, alla fine, il nemico lo trovi davvero”.